di Laura Bianchi.
Era una promessa. Ti avevo detto “prima o poi ti porto nel pit, non esiste che proprio tu, che hai visto Zurigo 81, che hai visto 5 volte San Siro, che sei andato ovunque per sentirlo, non abbia vissuto un concerto in transenna”. Era una promessa, e l’ho mantenuta. Risparmiando per andarci, una piccola rinuncia dopo l’altra, finché non ho messo insieme quei soldi. Follow that dream, del resto, ce lo dice anche lui, no?
Così, Michele ha organizzato il pullman, io ho comprato i biglietti per noi, ho coinvolto nell’avventura gli amici cari, e quelli che potrebbero diventarlo, e via. Così, ti regalo la raccolta di foto di questa gita del liceo, quella che tutti avrebbero voluto vivere a 18 anni, ma che, credo, non avremmo potuto vivere, a 18 anni, con tanta consapevolezza e gioia.
La sveglia all’alba, il fresco del mattino, l’ironia di Marcello e la dolcezza di Cecilia e Gabriella, la grinta di Katia, che ci salva dal parcheggio di Lampugnano (che sarebbe stato chiuso alle 4 di mattina…). I sorrisi impastati di sonno e di aspettativa dei compagni di pullman; la tensione di Michele, organizzatore, la gentilezza di Roberto e degli altri
Le soste agli autogrill, caffè e nuvole dense di pioggia, ma “tanto noi siamo attrezzati…”. I giri in tondo attorno allo stadio, per poi scendere giusto davanti, nessuno stress per il parcheggio, per una volta ci pensano altri… il numero sulla mano, e la foto alle mani vicine, pugni preparati ad aprirsi nell’applauso. I panini e le risate nel centro commerciale, in attesa dell’appello. E non piove, e non piove…
La coda per entrare, noia e chiacchiere mescolate. La corsa per la transenna, e tu che mi mandi avanti, “scegli tu dove andare, a me va bene tutto…”, la transenna, la nostra sedia a sdraio per ore di amicizie vecchie e nuove. E il concerto. “Equilibrato”, dirai tu. E come al solito hai ragione.
La qualità senza troppa quantità, l’energia di una band rilassata e divertita, che vedi che si diverte, e finalmente lo vedi veramente, non dalla percezione di realtà aumentata rimandata dagli schermi. Da qui, vedi le espressioni, l’interazione non ripresa dalle telecamere, ma reale; e la gioia aumenta.
L’essere al centro della musica, dove la musica si sprigiona, e diventa fuochi artificiali di energia e vita che scendono sui nostri cuori tornati bambini, come quel ragazzino di Napoli col suo papà, come quel bambino che si illumina di gioia quando Springsteen gli regala il suo plettro.
Il suo passaggio davanti a noi, le nostre mani intrecciate, il suo sudore che si mescola al nostro, e il nostro volergli dire grazie, anche così, un grazie impastato di sudore e pioggia. La pioggia che scende ma non dà fastidio, lui che ci si mette sotto, come a voler dire eccomi, sono anche io come voi, siamo uniti, ancora. Le lacrime mescolate nella pioggia, su ‘Frankie‘, regalo imprevisto e miracoloso.
E poi, la pioggia che cessa, ma le lacrime che scendono ancora, su The Promise, su Bobby Jean (con la sua mano che ci indica proprio su quella frase che tanto amiamo: “well if you do you’ll know I’m thinking of you and all the miles in between and I’m just calling one last time not to change your mind”…), soprattutto su Thunder Road, quando realizzo che siamo alla fine, ma che tutto continua.
Il dopoconcerto, i commenti, il ritorno sul pullman silenzioso. I corpi che si prendono il riposo meritato, dopo essersi presi la rivincita per tre ore, saltando, cantando, agitandosi, rabbrividendo, amando, finalmente, tutt’uno con l’anima. L’arrivo a Milano, i saluti, e il primo chiarore dell’alba, mentre una falce di luna decora il cielo e abbiamo la certezza che we are alive, stamattina e per sempre, per il sempre che ci potranno concedere. E sempre, sempre, la tua mano nella mia.
La promessa è stata mantenuta, la fiducia è stata ricompensata. E noi continuiamo a inseguire quel sogno.