Faith Will Be Rewarded (La Fede sarà ricompensata)

di Francesco Accomasso.

Se avete tempo e pazienza mettetevi comodi, perché partirò dall’inizio. Anche se a qualcuno potrò sembrare un farneticante, uno squinternato, uno un po’ matto, beh, pazienza. Voglio condividere lo stesso quello che ho vissuto in queste ultime ore con chi vorrà leggermi. Quindi, sisters and brothers, come back.

Non volevo andarci. Dopo la sbornia di Padova e Milano mi sembrava di pretendere troppo; da Lui, da me, da tutto e da tutti. E poi avevo già ricevuto molto più di quello che speravo. Per cui, avevo deciso che a Roma all’ultimo concerto di Bruce Springsteen e della E Street Band previsto all’Ippodromo le Capannelle di Roma giovedì 11 luglio 2013, non ci sarei andato. Avrei cercato di vendere o di regalare il mio biglietto, peraltro acquistato molti mesi prima (il 7 dicembre 2012). Concorrevano a questa scelta logica e di buon senso anche le considerazioni circa gli impegni professionali e le scadenze lavorative di questo mese (numerose, alcune delicate ed impegnative), il budget economico della trasferta romana (che avrebbe dovuto aggiungersi a quello già consumato per gli altri due concerti) e alcuni problemi di salute dell’ultimo momento e relative terapie, che sconsigliavano di allontanarsi da casa, soprattutto per affrontare una sfaticata come un concerto del “Boss”.

Ma poi? Qualche sera fa nell’attesa di far passare la calura serale e di prendere sonno sto ascoltando Springsteen sul mio smartphone. Nella sequenza delle canzoni programmate e caricate sul cellulare, arriva New York City Serenade, nella versione live dal Madison Square Garden di NY. Una meravigliosa canzone del 1973 scritta quando Bruce era uno sconosciuto squattrinato, magro come un chiodo, che girava con la barba lunga e le canottiere bucate. Una canzone eseguita solo 4 volte negli ultimi 25 anni e mai fuori dagli U.S.A., 7 volte in tutta la sua carriera; insomma, una gioiello ma di quelli sempre in cassaforte. Un po’ per il timore e il pudore che incute nell’eseguirla e un po’ per la difficoltà di realizzarla dal vivo in modo professionale. E’ un pezzo piuttosto lungo (12 minuti); la difficile introduzione di pianoforte con passaggi da vera musica classica (e questo è un rilievo da musicista, per quanto scarso, e non da fan), quell’aria eseguita a fine strofa che sostituisce il classico ritornello e che ricorda certe esecuzioni di arie liriche, l’ingresso allo stesso tempo delicato ed imponente degli archi la cui introduzione nella versione in studio della canzone sembra naturale, ma dal vivo è difficile da realizzare e da integrare con il resto della Band. E il testo articolato e con temi delicati. Come dicevo, mi capita di sentire ‘sta canzone, e qualcosa in me scatta, una voce che mi dice: “devi andare a Roma; vai, vai, vai e lascia dietro per un attimo i tuoi problemi, li ritroverai ad aspettarti quanto torni. Ora vai e credici fino in fondo; anche se non sentirai New York City Serenade assisterai ad uno show coi fiocchi. Vai!”.

Ho preso quella vocina in fondo al cuore in parola; e così le ore successive si sono trasformate in una corsa affrettata a trovare i biglietti di trasporto, a trovare un posto dove trascorrere quel poco della notte dopo il concerto prima di rientrare perché proprio non posso fisicamente permettermi di passare una notte all’addiaccio.

Organizzo tutto abbastanza velocemente. Giovedì mattina ore 06,52 parto per Roma. Alle 12,40 scendo a Termini; fa un caldo pazzesco. Arriva una telefonata: è l’albergo che mi dice che la stanza che avevo prenotato è allagata e non c’è più posto per me. Bene, inizio promettente. Subito dopo mi telefonano dall’ufficio; è successo un casino, mi dicono; bisogna trovare una soluzione; bisogna decidere in fretta. Dopo poco perdo il segnale di rete e non comunico più. Bene. Ma io dovevo aspettarmelo. Stavolta ho esagerato. Me la sono proprio voluta questa situazione. All’età di 43 anni e 7 mesi continuo a ragionare e ad agire come un ragazzino, manco fossi Peter Pan o vivessi in un paese dei balocchi. Ma quando diventerai grande. E adesso se mi trovo un po’ incasinato, è solo colpa mia. Dovrei essere in ufficio. Non dovrei stare in mezzo a una strada dopo 6 ore di treno, e senza un posto dove andare. Si me la sono proprio andata a cercare. No! No! Non può essere così. Le cose si risolvono. Le soluzioni si trovano; basta cercarle.

Comincio con lo spegnere e riaccendere il telefonino. Ecco, vedi, il segnale è tornato. Riprendo le comunicazioni. Ragionando con calma si trovano le risposte ai problemi. Infatti il problema lavorativo ha la sua soluzione e pure senza controindicazioni. Basta rifletterci con calma. Bene una è andata. Ora devo sentire quei bei furboni dell’hotel che mi hanno bidonato. Mi anticipano loro. Mi chiamano dall’albergo dove avevo prenotato per dirmi che sono riusciti ad ottenermi una sistemazione alternativa, allo stesso prezzo pattuito e per giunta in un hotel di categoria superiore, sulla Appia nuova, vicino al Grande Evento. Sono le 14,00, forse è ora di andare a sistemare i bagagli dove mi hanno trovato posto, di mangiare qualcosa prima di svenire e poi di avviarsi. Nel frattempo fa sempre più caldo e nubi nere all’orizzonte minacciano temporali. Non oso immaginare cosa può succedere su quella spianata priva di ripari che è l’Ippodromo “Le Capannelle”. Una passeggiata di 3 o 4 km e siamo arrivati. Le nuvole si allontanano per lasciare posto al sole pomeridiano che picchia sulla spianata. Cerco riparo ma è difficile trovarlo. Pazienza. Il nebulizzatore permette di rinfrescarci. Una chiamata a casa per dire che tutto è ok. Per il resto mangiamo ancora qualcosa, beviamo, aspettiamo e cerchiamo un posto buono e con buoni vicini di concerto, possibilmente. Non ho che l’imbarazzo della scelta.

Una cosa incredibile ai concerti di Springsteen e che vedi persone di tutte le età: dai 6 ai 70 anni. Famiglie intere. Ragazzine non ancora maggiorenni con le magliette e le sciarpe del Boss (e ti chiedi se staranno provando le stesse sensazioni che potevi avere tu alla loro età). Uomini e donne di ogni età, cultura ed estrazione sociale. Tre o quattro generazioni riunite in un’unica passione.

Fabio, Valter e Flavia sono i miei simpatici ed occasionali compagni di questo concerto. Sono di Roma. L’occasione per iniziare a chiacchierare è la richiesta di una foto ricordo. Per Fabio e Valter è la prima volta. Flavia è già venuta a un concerto di Bruce nel 2009 all’Olimpico di Roma e da allora aspettava l’occasione di rivederlo. In breve, conversando con loro provo la strana sensazione di sentirmi un novello Virgilio, un Cicerone de no’antri, mentre racconto ai miei tre nuovi amici le mie precedenti esperienze con Bruce, degli aneddoti vari, le storie più significative e altre leggende. Gli racconto di quando Springsteen anticipò la caduta del Muro di Berlino, in un concerto leggendario alla porta di Brandeburgo proprio 25 anni fa 11 luglio 1988. Ufficialmente fu invitato dalla sezione giovani del partito comunista; in realtà si trattava di una trovata per mascherare la volontà del business occidentale di penetrare nel blocco dei paesi dell’est comunista. Quel giorno erano attese 160.000 persone. Ne arrivarono 300.000 e le forze dell’ordine del regime dovettero far aprire i cancelli a furore di popolo. Bruce salì sul palco e aprì il concerto dicendo: “Non sono né a favore né contro il vostro governo. Sono qui per suonare il rock and roll. Ma credo che tutte le barriere presto o tardi cadranno”. Un boato! Una profezia! Fabio mi confessa di avergli fatto venire i brividi con i miei racconti e mi offre una birra. Anche gli altri due continuano ad ascoltarmi con grande attenzione. E così si fa sera e siamo quasi pronti.

Arrivano le note di “C’era una volta il West” di Ennio Morricone ad introdurre la band. Poi la voce di Bruce, ma lui non si vede ancora, inizia ad intonare Spirit in the nigth. Il brano è stato ben arrangiato ed è diventato un pezzo a metà tra il rock e il gospel, molto coinvolgente. Eccolo che entra ed ha davvero la faccia di uno che sta pensando: “adesso vi faccio vedere io cos’è uno show. Vi faccio vedere come si fa”. Si stanotte ci sarà proprio lo Spirito a guidarci. The Holy Spirit. L’inizio è travolgente. La citata Spirit , una sontuosa My love will not let you down, una tiratissima Badlands; e poi partono già le richieste del pubblico ed iniziano le prime soprese. Roulette, Stand on it, e altre ancora. La scaletta ufficiale è già stravolta, complice il feeling che si crea tra Bruce, la band e il pubblico. Ma Bruce ha preparato delle altre sorprese stasera. Ecco Kitty’s back per la prima volta in questo tour cominciato a marzo. Un pezzo travolgente che in 15 minuti lascia spazio ad uno ad uno a tutti i membri della band che possono mostrare tutto il loro valore. A seguire la struggenteIncident on 57 street e la esaltante Rosalita. Tutte e tre queste ultime canzoni sono delle perle rarissime che vengono suonate una o al massimo due volte in tutta la tournée e solo nelle occasioni più speciali. E qui a Roma cosa fa: le ha fatte tutte insieme una dietro l’altra. Si stasera è già una serata magica, guidata dallo Spirito.

Potrei già andarmene a casa tanto sono contento e stupito allo stesso tempo. Ma è adesso che arriva la sorpresa più grande. A Milano 60.000 persone avevano sperato e chiamato a gran voce e con tanto di coreografia disposta sui tre anelli New York City Serenade; ma Bruce aveva finto di non vedere e di non sentire. Più tardi in albergo avrebbe confidato ad alcuni fan che lo avevano raggiunto per gli autografi che la canzone è troppo difficile da poter improvvisare. E ora a Roma in questa calda serata d’estate cosa vedo: Bruce e Steve che srotolano un cartello con su la scritta NYC SERENADE. No non ci posso credere. Spiego tutto ai miei tre amici. Gli dico di toccarmi se per caso sto sognando. Le luci si spengono. Passano alcuni secondi nei quali penso che abbia voluto scherzare o che abbia cambiato idea. E invece arriva Professor Roy Bittan che attacca il pianoforte con il suo tocco dolce ma allo stesso tempo deciso e struggente ed è l’avvio. Terminata l’intro, entra la chitarra di Bruce e poi la voce e parte la canzone… Sto sognando. Il palco è sempre buio. Solo Bruce e Professor riesco a vedere. Arriva il momento dell’ingresso degli archi e mi aspetto che tocchi a Soozie Tyrrel (violino, chitarra acustica e coro). E invece si accendono tutte le luci del palco e vedo una trentina di persone li sopra compresa la band. Con loro c’è una intera sezione di archi (violini, viole, violoncelli) ed un direttore d’orchestra. E la Roma Sinfonietta, l’Orchestra Sinfonica del Maestro Ennio Morricone. Una esecuzione magnifica terminata la quale Bruce saluta e presenta per nome uno a uno i membri della Sinfonietta. Io non capisco più nulla. Sono in estasi. Finisco, finiamo nella stratosfera. Ho saputo il giorno dopo che Bruce ha raggiunto Roma un paio di giorni prima del concerto e in gran segreto a contattato la Sinfonietta e ha fornito loro gli spartiti. Poi in un club della capitale rimasto top secret hanno provato questo pezzo che non poteva essere improvvisato. Ecco il professionista, ecco l’artista, ecco l’uomo. A Milano aveva visto e sentito la richiesta, eccome; ma voleva farla come voleva lui. E a Roma l’ha fatta!

Da questo momento il concerto per me è finito. O meglio riprende con il pilota automatico. Ho raggiunto il Nirvana, il Paradiso. Eppure ci sono ancora altri pezzi magnifici. La caldissima Bobby Jean, Waiting on a sunny day con tanto di bambino tirato da Bruce sul palco e microfonato per poter cantare con lui, e Land of Hope and dreams a ricordarci che saints and sinners loosers and winners (santi e peccatori, perdenti e vincitori), tutti sono destinati alla redenzione nella “Terra delle speranze e dei sogni”. Basta credere che Faith will be reworded. Le potentissime Born in the U.S.A. e Born to run, Dancing in the dark con tanto di ragazze sul palco a ballare con Bruce, Tenth Avenue Freeze Out con le immagini dei compianti Danny Federici e Clarence Big Man Clemmons che scorrono sugli schermi. E altri pezzi ancora. E poi il gran finale con due scatenate Twist and Shout in omaggio ai Beatles e Shout Bamalama con ben dieci chiusure e ripartenze della canzone in un continuo gioco tra Bruce la band e il pubblico. Incredibile vedere come il pubblico possa passare dal delirio collettivo di Shout, in cui tutti all’unisono fanno la stessa cosa, pur non essendo “preparati”, all’intimità e al silenzio surreale che segue su Thunder Road.

Già, perché la magica notte dello Spirito, non poteva che chiudere così: dopo aver salutato tutti i membri della band uno a uno, chitarra acustica e armonica a bocca eccolo avvicinarsi al microfono. Ecco la mia amatissima Thunder Roadascoltata da un pubblico di 40.000 persone in religioso silenzio (come se fossimo in Chiesa) e che all’improvviso e all’unisono, su un cenno del sacerdote sul palco, intonano: Show a little faith, there’s magic in the nigth… it’s a town full of loosers and I’m pulling out of here to win… lalalalalalala...

E’ finita! 3 ore e 30 minuti, 30 canzoni e infinite emozioni e benedizioni. Ora proverò a riprendermi da questa magica serata dello Spirito. Per ora sono ancora lassù nella “Gloria dei Cieli” e non ho intenzione di scendere per un bel po’. E quando riusciranno a riportarmi sulla terra, se mai ci riusciranno, cercherò di ricordare che in fondo, a volte basta poco; basta Show a little faith, per tornare in Paradiso; perché FAITH WILL BE REWARDED.

Wrecking Ball Tour

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