di Andrea Aletto.
…perché ci fai piangere ed abbracciare ancora, canta più o meno Venditti; e mai ho visto piangere così tanti uomini fatti alla fine del concerto.
Come sempre, la scaletta racconta solo la metà del concerto. Certo, è innegabile che quattro canzoni di “The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle” siano un evento straordinario; per di più “New York City Serenade”. Ma il senso di giovedì sera lo si trova nelle parole della b-side “Stand On It”: “when you’ve lost control of the situation at hand / grab a girl and go see a rock’n’roll band / and stand on it”.
Con tutti i problemi che ciascuno di noi ha, Bruce e la E Street Band hanno reso la nostra vita migliore. Giovedì sera ed il giorno dopo, di sicuro; ma forse anche più a lungo. Perché non è importante solo che abbiano suonato “New York City Serenade”, “Incident on 57th Street” o “Kitty’s Back”, ma come l’hanno fatto.
Perché, lo dico sinceramente, molto spesso negli ultimi anni, mi è sembrato di vedere Bruce e la band recitare un compitino: “io la canzone la faccio, così siete contenti, però non chiedetemi di farla benissimo e soprattutto di tirarla in lungo” (esempi recenti: “If I Should Fall Behind” a Zurigo, “Lost in the Flood” a Goteborg e molti pre-show). Non basta che mi portano il carrello dei bolliti con bagnèt, senape e salsa al cren, voglio anche che la carne sia buona.
Giovedì, finalmente!, sono tornate le chitarre, il piano e abbiamo sentito i fiati al di là dello slot a loro dedicato. A parte “New York City Serenade” con gli archi della Roma Sinfonietta, per me il clou sono state “Lucky Town”, “Stand On It” e “Kitty’s Back”, proprio perché suonate con gusto ed al di là dello spartito ordinario.
Se poi sia stata meglio Roma o Milano, sinceramente non me ne curo. Ma non dubitavo che sarebbe emersa fin da subito la questione, abili come siamo noi italiani a spaccare il capello in quattro e a cercare di prevalere sul vicino. Quanto male ci ha fatto la battuta di Giulio Cesare “meglio primi in Gallia che secondi a Roma”. Preferiamo sempre essere il ras del paesello invece di misurarci con i pesi massimi in cose ben più rilevanti per tutta la comunità, non questa community. Mi vengono in mente le parole di un insegnante di Modena: va più veloce il treno o è più dolce la cioccolata? Parliamo di emozioni e ciascuno ha le sue. Potremmo discutere per giorni e alla fine arriveremmo alle mani. Bel risultato!
A titolo personale io sceglierò sempre un concerto a San Siro, per quello che Milano significa per me, anche, ma non solo, riguardo a Springsteen. Senza contare che personalmente la produzione pre-1975 di Bruce non mi fa impazzire (con rare eccezioni, quale “Incident on 57th Street” fra le canzoni di giovedì) mentre “Born In the USA” è uno dei miei dischi preferiti. E lo spettacolo di folla visto a San Siro lo scorso giugno è una cosa che da nessuna altra parte, né Ullevi, né Camp Nou, né altrove, può essere battuto. Non so se la reazione di San Siro sarebbe stata la stessa con qualunque altro disco, o con la scaletta di Roma (o meglio, penso proprio sarebbe stato impossibile): solo “Born In the USA” poteva permettere lo spettacolo di folla di San Siro.
Per cui, mi tengo il mio giubilo (in omaggio ad Alberto, storico giornalista Rai per l’ippica, in onore al luogo del concerto) per averli vissuti entrambi e di certo non ci penso minimamente a vedere una qualunque altra data. Giuro solennemente – sul serio. Perché non escludo che Bruce, prima o poi, possa fare anche di meglio. Anzi sono sicuro che lo farà.
Ma Roma è sempre Roma: “è da tanto tempo che non ci venivo e non ricordavo quanto questa città sia meravigliosa” (B.S. 06.06.05).