Il 25 agosto non è proprio una data qualunque, almeno per noi che apparteniamo al “circolo-Springsteen”: è il compleanno di quell’album iconico che porta il nome di Born To Run il cui merito è stato quello di elevare Bruce all’empireo del rock contemporaneo e su cui sono state poi scritte vagonate di parole su giornali, riviste e libri. Lasciando i dati statistici a chi si diletta a comporli, il mio approccio alle otto canzoni di questo disco è molto più intimo e personale e riguarda l’entrata in scena nella mia esistenza di quell’Autore i cui brani ancor’oggi scandiscono momenti e suggestioni di vita. Born To Run si rivela al mondo nel 1975; allora ero un po’ troppo piccoletto per entrarci in contatto: la collisione avvenne una dozzina d’anni più tardi, quando, sulla spinta del trionfale Born In The USA che ascoltavo tronfio e gasato in piena adolescenza, mi venne voglia di approfondire la conoscenza del rocker del New Jersey e utilizzai i miei risparmi per acquistare il triplo Live 1975-’85 (in musicassetta) che comincia così:
Ladies and gentlemen: Bruce Springsteen and the E Street Band.
Pianoforte.
Armonica.
Thunder Road.
“Fu sufficiente l’armonica perché mi sentissi a casa. Non sapevo ancora niente di Bruce Springsteen, salvo il fatto che avesse scritto delle belle canzoni; e questa era la più bella di tutte e lo fu da subito, da quel primo ascolto. Non sapevo quali e quanti album avesse inciso e pubblicato, non sapevo cosa fosse un bootleg, non conoscevo i nomi dei suoi leggendari musicisti, tutto questo sarebbe venuto molto, molto tempo dopo (…). Ma sapevo Thunder Road, la riconoscevo, mi addormentavo cullato dalle sue braccia. (…) Come se facesse da sempre parte del mio dna, avevo trovato il mio avatar musicale, la mia identificazione metaforica, il mio essere trascendentale, l’immagine riflessa della mia mente confusa…”
[da: E. Martignoni, Cammino con angeli senza dimora. Qua e là per la vita con le canzoni di Bruce Springsteen; Vertigo Edizioni, 2019]
Con queste parole racconto di come quella Thunder Road che apre l’album Born To Run divenne il portale d’accesso a un mondo che continuo a frequentare, divenendo di fatto LA Canzone che nel corso del tempo è stata “madre, sorella e amante” nelle mie esperienze di vita.
Trovo incredibile come ancora oggi riesca a identificare pezzi di me dentro questo brano, come se le circostanze della vita tornassero a trovare le parole che le spiegano proprio in una canzone che non smette di sorprendere e che è fatta di immagini capaci di rendere universale un’emozione e raccontare i dettagli di una sensazione: è come trovarsi davanti allo specchio e, nonostante il passare degli anni, continuare a riconoscere quei lineamenti che la vita ha indurito, quelle sfumature che gli anni hanno imbiancato, quella profondità dietro lo sguardo che, al di là del tempo, non cessa di domandarsi il senso delle cose e si stupisce di fronte al rinnovato rivelarsi dell’amore. Quell’adolescente che si è sciolto ascoltando Thunder Road (e poi l’intero Born To Run) negli anni Ottanta, ora ha la fortuna di poter raccontare come sia possibile “diventare grande” senza spegnere il sogno di un domani bello e possibile, cercando ancora la magia nella notte e facendo via la polvere da quelle ali trasformate in ruote che corrono verso una qualche terra promessa lasciandosi alle spalle una città piena di perdenti.
La vita certe cose le disfa e altre le aggiusta, non sempre con il nostro consenso. Ma se c’è una certezza che, in modo più o meno metaforico, hanno insegnato Born To Run e le sue splendide canzoni, è quella di non smarrire né dimenticare quei punti di riferimento che rendono possibile qualsiasi cammino; che siano ricordi, valori, persone, progetti…cambia poco: ogni strada ha all’orizzonte un cielo che ci aspetta e la possibilità di rendere tutta questa faccenda migliore, se solo scegliamo di crederci e di dedicarci anima e cuore. Allora salta su, Mary, perché Born To Run avrà pure 48 anni, ma sappiamo bene che può ancora portarci a vincere altrove.