Due parole dopo il concerto di Springsteen a Monza di Emanuele Martignoni
Ci sono zone che mettono completamente a nudo e tempi che scoperchiano l’anima: quando entri nel territorio di Bruce, non hai scampo. Mentre cammini tra i viali del parco, li vedi quegli sguardi che scrutano laggiù – quanto manca ad arrivare al prato? -, li vedi quei passi che si fanno via via più frettolosi. Vedi gli amici che si ritrovano e vedi quelli che lì lo diventano – quanti concerti a questo giro? com’è andato il viaggio? quale canzone vorresti sentire? Vedi storie che si mescolano e si predispongono alla più bella resa della loro esistenza terrena: venire infilzate parola dopo parola, nota dopo nota, dalle canzoni di Springsteen.
In un pomeriggio che gli Dei hanno finalmente deciso di graziare dal caldo rovente e dalle tempeste, il turbine di fuoco si scaglia dal palcoscenico sul prato della Gerascia; quell’uomo che è già leggenda, nel tempo di un saluto e due accordi spazza via con mitragliate di rock‘n’roll tutto quello che ha annoiato mesi di attesa: la stanchezza, i fraintendimenti, le illusioni, le polemiche, gli amori finiti e quelli mai cominciati. E porta in alto tutto il senso del vivere di cui ogni generazione ha bisogno – perché sotto quel palco c’è la bimba che lo guarda come un supereroe, la nonna in lacrime sulle spalle di un giovanotto danzante, l’uomo affaticato che urla la sua liberazione, ragazze e ragazzi che saltano coi loro padri e le loro madri.
Centocinquantamila mani alzate cielo. “Si tratta delle passioni che inseguiamo da bambini non sapendo dove ci condurranno. A quindici anni ci sono i domani, i buongiorno… e andando avanti ci sono più ieri e adii. Questo ti fa solo capire quanto sia importante vivere ogni momento. Quindi siate buoni con voi stessi, siate buoni con coloro che amate e siate buoni con questo mondo intorno a voi”, dice lui introducendo commosso la struggente Last Man Standing.
Ogni volta sei lì, come fosse la prima, a renderti conto che per vivere non devi contare il tempo, ma devi “batterlo”: nel senso di dargli tu un ritmo e anche, in qualche modo, di sconfiggerlo vivendo la bellezza che ogni attimo di vita ti regala. Un concerto di Bruce Springsteen è sempre qualcosa di più di uno spettacolo musicale; tutti noi sappiamo che in quelle tre ore di musica stiamo andando a ripercorrere le nostre storie, abbiamo canzoni che ci hanno cresciuto e canzoni che ci hanno salvato, abbiamo momenti fissati per sempre dentro un ritornello o nel verso di una strofa.
Ci abbiamo scritto racconti e libri intorno, e, se non li abbiamo scritti, tutto questo l’abbiamo raccontato. E ci siamo ritrovati, con le anime nude, a volare nelle linee di cielo tracciate da una E Street Band in palla come se non ci fosse un domani e da un Mentore del nostro spirito che canta i nostri casini e li trasforma in un bagno di redenzione nella catarsi della sua musica.
La grande famiglia springsteeniana è tutta qui, nel cerchio di un potente abbraccio che accoglie in sé i colori e i sentimenti di ciascuno di coloro che ne fa parte e che, ancora una volta, può farsi forte della promessa del prossimo rito di redenzione che si accende nel parco mentre la luna illumina la notte e la via del ritorno: This is our letter to you. Thank you. Come back soon.
Noi non smetteremo di lottare per un mondo migliore, ma tu, Bruce, torna presto a ricordarcelo.
Emanuele Martignoni è autore di Cammino con angeli senza dimora. Qua e là per la vita con le canzoni di Bruce Springsteen (Vertigo Edizioni 2019)