di Dario Greco.
Scrive Cesare Pavese nel suo saggio dal suggestivo titolo “Middle West e Piemonte”, in La letteratura americana e altri saggi:
“Verso il 1930, quando il fascismo cominciava a essere “la speranza del mondo”, accadde ad alcuni giovani italiani di scoprire nei suoi libri l’America, un’America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo, e insieme giovane, innocente. Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non era un altro paese , un nuovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti. E se per un momento c’era apparso che valesse la pena di rinnegare noi stessi e il nostro passato per affidarci corpo e anima a quel libero mondo, ciò era stato per l’assurda e tragicomica situazione di morte civile in cui la storia ci aveva per il momento cacciati. La cultura americana ci permise in quegli anni di vedere svolgersi come su uno schermo gigante, il nostro stesso dramma.”
Il vento nei campi grigi, il freddo fondale del fiume. Con l’età il rapporto di Bruce Springsteen con la terra, intesa come mappa astratta, si fa più profondo. Sullo sfondo spiccano figure più complesse, avvolte dall’ombra di un bosco, svelate da una stellata notturna. Qui l’attrazione ancestrale del paesaggio gioca in antitesi con l’isolamento dei personaggi. A volte realizzare un disco equivale a scattare una fotografia del paesaggio interiore. Si tratta di quel luogo giusto dove c’è ancora tanto da fare, per costruire sentendosi utili allo scopo. Siamo seduti in un deserto immaginario, attorno a un falò e un vecchio mandriano rischiara la voce e inizia a raccontare una vecchia storia perduta. Una leggenda mitica, tra Omero e il West, tra la redenzione e l’oblio. Nel corso degli anni la visione cinematografica è cambiata subendo un’evoluzione tecnica di cui lo spettatore avverte la vertigine, di una fotografia spesso impeccabile, ma un po’ fredda, priva di pathos. Sotto Gary Cooper non c’è un vero abisso, ma sotto il tizio che sta guardando il film in questo momento invece sì. Dare una mano alla gente e a me stesso per passare sopra quell’abisso, ecco cosa mi interessa del mio lavoro.
Improvvisamente tutto divenne molto rado, cupo. Come una tazza di caffè nero bollente. Un uomo entra solitario in un drugstore. Non ci sono dialoghi, la scena è spoglia, minimale. Un coyote passa senza essere osservato con passo svelto e scaltro venendo immortalato in questa sorta di film sonoro. Non c’è spazio né tempo per la dolcezza, qui e ora. Sono canzoni dure per scenari disincantati. Tutto verrà spogliato di orpelli e di altri abbellimenti, del tutto inutili. Volevamo un senso di solitudine, un sound disincantato per mischiare terminologia audio e video.
“Mi misi addosso la vestaglia la mattina. Guardai l’anello del fornello diventare rosso. Rimasi ipnotizzato dalla tazza del caffè. Mi misi gli stivali e feci il letto. La zanzariera sbatte fuori dai cardini e mi tiene sveglio tutta la notte. Come guardo fuori dalla finestra la sola cosa che vedo è un lampo secco sulla linea dell’orizzonte, solo un lampo secco e tu nella mia mente.” (Dry Lightning, Bruce Springsteen)