Pillola 8: Backstreets (1975)

di Dario Greco.

Posizionata alla fine del lato A in un disco che per Springsteen era un all-in con tutte le fiches messe sul tavolo, Backstreets ci trascina via dalla libertà della notte verso il buio del fato. Non sa ancora il suo autore che il fato gli sarà favorevole ed in questa tensione emotiva che il brano sbanca e convince tutti. Ancora una volta l’estate è protagonista, solo che i tempi sembrano essere cambiati rispetto alla baldoria e ai festeggiamenti del boardwalk, anche se in realtà è trascorso poco più di un anno. Ed è stato un periodo dolce e amaro per il suo protagonista.

Bruce Springsteen touring Born To Run, 1975, by Charlyn Zlotnik:  BruceSpringsteen

C’è ancora innocenza e c’è ancora la wildness, ma qualcosa sembra essere cambiato, irrimediabilmente perduto. Si sogna ancora, ma ci sono elementi paranoici, di una tensione palpabile, che si taglia a fette con un coltello a serramanico.

Il brano si apre con una proverbiale ed epica introduzione condotta dal pianoforte e dall’organo. Del resto tutto il disco è dominato dal piano di Roy Bittan e in questo brano è proprio lui il protagonista assoluto, al pari della voce del suo interprete. Non è una volata rock di tre minuti, ma qualcosa di più epico, perentorio e leggendario. Ancora una volta Springsteen sembra guardare a Van Morrison, in quello stile cadenzato, nella ripetizione ossessiva di un verso che farà da vero e proprio marchio di fabbrica con quel mantrico Hiding on the Backstreets.

C’è un lamentoso assolo di chitarra che fa da cornice al gran finale di questa storia di amicizia e di amore infedele. Un’estate malata e ossessiva incombe sui protagonisti di questa vicenda. Terry è una vagabonda di cuori, mentre l’io narrante si descrive come un gaglioffo di periferia come tanti, che sogna in grande mentre dorme in una casa sulla spiaggia abbandonata. Non ci vuole molto a immedesimarsi in questa vicenda, così come non possiamo fare a meno di pensare a questo giovane e irsuto autore che si descrive come un piccolo Marlon Brando o un Dean di periferia, che tenta invano di respirare il fuoco sacro in cui è nato.

La potenza delle immagini e della storia è retta alla perfezione da una tessitura sonora audace e potente, che si annoda come un cappio intorno al torace per poi salire in gola, strozzando un urlo che l’eroe recide come se fosse il nodo gordiano del rock and roll.

Nella prima versione non definitiva Springsteen citava il Re Elvis Presley, con la sua Hearbreak Hotel, in seguito sostituita dall’ultimo LP dei Duke Street Kings. Abbracciati nelle nostre auto in attesa del rintocco delle campane nel cuore nero di una notte che sembra non voler cedere il passo alla luce del giorno. Eppure chiunque abbia atteso l’alba estiva sa bene che non sono poi così lunghe le notti di piena estate. Non ha importanza però, perché qui stiamo affrontando territori immaginifici degni di quella fabbrica di sogni che è stata la Hollywood classica.

Solo che Springsteen non guarda al cuore patinato di certo cinema, piuttosto il suo è un Detour nelle pellicole di serie B proiettate in un drive-in di periferia. Ricordi tutti i film Terry, che andavamo a vedere cercando di imparare a camminare come gli eroi che pensavamo di dover diventare. Siamo dalle parti delle ruvide battaglie del fato, come diceva Ralph Waldo Emerson nel suo saggio “Fiducia in se stessi”.

Danzando lentamente nel buio sulla spiaggia a Stockton’s Wig dove vanno gli amanti disperati, canta Springsteen mentre la musica oscilla tra la grandezza e la mestizia, con la batteria che parte cupa e distante, per poi salire di volume e di intensità, mentre la narrazione giunge al climax. Colonna portante di Born To Run e dell’intera architettura musicale della prima carriera di Springsteen, Backstreets assumerà un ruolo ancora più centrale nelle esibizioni dal vivo, quando Bruce aggiungerà quell’intermezzo noto con il titolo di Sad Eyes (non il brano presente su Tracks 4), che farà da canovaccio per la scrittura di quel capolavoro speculare che risponde al nome di Drive All Night.

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