di Dario Greco.
Mio padre, si suda lo stesso lavoro mattina dopo mattina. Io, rientro a casa per le stesse sporche strade dove sono nato. Dall’altro isolato sento la mia sorellina sul sedile davanti che suona il clacson. Il suono riecheggia lungo tutta Michigan Avenue. Amico, il giorno che uscirà il mio numero non guiderò mai più una macchina usata.
In vent’anni non ho mai posseduto un’auto nuova di zecca. E non ne sento affatto il bisogno o la mancanza. In compenso ho avuto delle ragazze nuove… di zecca. Anche di quest’ultime il più delle volte, qualche volta, non ne sentivo il bisogno impellente, ma è capitato. Come la vita, come scoprire la musica di Bruce Springsteen. È successo per caso, mentre stavo crescendo. Male, decisamente male, ma crescevo. Oh, Growin’ Up!
È capitato in una fredda e luminosa giornata invernale, di 22 anni fa. È stata una delle cose migliori, più interessanti della mia vita. Per fortuna, conoscendo questo grande artista, è confortante sapere che non si tratta di un semplice performer, ma anche di un animo gentile, di un ragazzo, come lo ero stato io, con un sogno e un desiderio. Lasciare il segno, essere qualcuno nel mondo del rock and roll. Anch’io ho accarezzato per breve istante questo tipo di desiderio. Ma è durato poco, come le cose belle e quelle meno belle, come la verginità. Si è detto che il rock abbia un rapporto privilegiato con l’erotismo e la sessualità. Sarà certamente vero. A me non interessava questo aspetto, così come non ero interessato al mondo della droga. Mi premeva solo scoprire, giorno dopo giorno, la musica, le canzoni e i suoni che ne avevano costituito la grande mitologia. Il firmamento del rock e del music business.
Sapevo che c’era davanti a me un’intera galassia, che non attendeva altro che di svelarsi dinnanzi a me. Nonostante il tema del movimento, della velocità e delle automobili, sia centrale in molti suoi lavori, sono probabilmente due i dischi che trattano in maniera più centrale l’argomento automobilistico: Darkness on the Edge of Town e con maggior vigore, The River. Naturalmente non sono mai solo uno strumento per muoversi, ma spesso diventano la ragione stessa per cui si è in strada, un fine e non un mezzo. Basti dare una scorsa ai titoli: Racing in the Street, Streets of Fire e Something in the Night, per l’album del 1978, mentre Stolen Car, Drive All Night e Cadillac Ranch, arricchiscono e irrobustiscono le tematiche esistenziale del Grande Romanzo Americano, che risponde al nome di The River.
Come ha scritto Paolo Borgognone nello svolgimento di The River le auto acquistano significati diversi. Una delle canzoni più sentite dell’intera raccolta si intitola Stolen Car. Qui l’io narrante è quello di un uomo che guida un’auto rubata – simbolo del fallimento della sua vita, anche amorosa visto che la sua compagna si sente “vecchia di cento anni” – e si aspetta, quasi desiderandolo di essere fermato dalla polizia da un momento all’altro. “Ogni notte aspetto di essere beccato, ma non succede mai”. Il viaggio notturno a bordo di una vettura non sua è metafora qui di un’esistenza che non ha più speranza: “Guido di notte e viaggio nella paura che in questa oscurità scomparirò”. Di tutt’altro tenore il viaggio – anche questo notturno – del protagonista di Drive All Night.
Un viaggio animato dalla speranza di tornare dalla persona che ama: “Guiderò tutta la notte, lo giuro, solo per comprarti delle scarpe nuove e gustare i tuoi dolci tranelli e dormire stanotte di nuovo tra le tue braccia”. Qui l’auto diventa uno strumento di libertà, il mezzo per tornare a vivere la parte migliore della propria esistenza. Come “l’auto di mio fratello” citata nella title track The River, a bordo della quale i due protagonisti andavano a ritagliarsi un momento di serenità e libertà “di notte vicino al serbatoio dell’acqua”. Qui, però, il tempo della canzone è declinato al passato. E l’auto è anche nostalgia di un periodo spensierato e felice che difficilmente tornerà.
Tra il 1975 e il 1982 Springsteen diede alle stampe quattro dischi che segneranno le tappe fondamentali della sua carriera artistica e della sua vicenda umana. Si tratta di lavori che affondano le loro radici nella migliore tradizione americana del folk, del rock and roll e del pop.
Le auto, il movimento e la necessità di crearsi un proprio spazio nel mondo ricopriranno un ruolo centrale nella sua poetica, tra road songs e canzoni di ricerca spirituale e di redenzione. Non è un caso se Springsteen verrà più volte accostato a registi come Scorsese, De Palma o Malick. L’ambizione è quella di aiutare qualche giovane, a compiere i giusti passi, attraverso questa magnifica tradizione, fatta di uomini e donne. Di sognatori, sballati, perdigiorno, la cui unica occupazione e interesse era legato esclusivamente a fare musica, a vivere di essa. Se non l’avete sperimentato, anche solo per una breve e calda estate, sono dispiaciuto per voi. Perché probabilmente non sapete che cosa avete perso, cosa avreste da recuperare.
Avevo detto che non ho mai posseduto un’auto, ma ho posseduto tanta musica e tanti impianti stereo, casse, amplificatori; non sono proprio un musicista e nemmeno un fedele ascoltatore, ma so come si collega un jack e so come equalizzare a dovere una traccia. La musica però non è solo una perfetta riproduzione del suono, è alchimia, è magia e poesia. Nella notte.
Basterebbe riavvolgere il nastro e riascoltare la discografia di Bruce Springsteen, ripartendo da dove tutto ebbe inizio, dal New Jersey, dalla costa sonnacchiosa e un po’ selvaggia, Wild and Innocent, giusto? Ma certamente. Riavvolgiamo il nastro, allacciamo le cinture, anche se di un’auto di seconda mano (anche se in buono stato) e mettiamoci comodi. Il viaggio, attraverso gli ultimi 46 anni di musica americana, sta per avere inizio, e ancora più a ritroso, fino alla Highway 61 Revisited, fino al suono celestiale e angelico concepito da Brian Wilson, dai riff di Chuck Berry e dalla penna ineguagliabile di quel talentuoso hipster texano, di Lubbock meglio noto con il nickname di Buddy Holly.
Parlavano tutti insieme, con voci insistenti e impazienti, contraddittorie, trasformando una cosa irreale in una possibilità, poi in una probabilità, poi in un fatto incontrovertibile, come fa la gente quando i suoi desideri diventano parole.
Bruce Springsteen è l’unica persona sulla faccia della terra capace di unire nello stesso momento la poetica di un letterato come Faulkner con il retro di una polverosa autorimessa, sperduta tra il Nulla e la California. Come ha cantato molti anni fa: Pezzi di ricambio e cuori infranti mandano avanti il mondo. C’è solo un altro autore capace di ottenere lo stesso effetto, si tratta del Maestro del brivido, Stephen King, da Portland Maine. I due sono uniti da una ferrea disciplina per il lavoro e per la propria arte. Esattamente quello che mi è mancato per buona parte della mia vita, la costanza, la disciplina di restare fermo e concentrato per qualche ora, per qualche giorno, per qualche anno, fino a produrre qualcosa di grande, di importante, come un romanzo su una vecchia auto posseduta da qualche demone assetato di sangue e di vendetta.
Faulkner dice che il tempo non è poi questo gran male, basta saperlo usare e si può tirare qualsiasi cosa, come un elastico, finché da una parte o dall’altra si spacca, e eccoti lì, con tutta la tragedia e la disperazione ridotta a due nodini fra pollice e indice delle due mani. “Probabilmente sei troppo giovane per cercare la saggezza in parole che non escano dalla tua bocca, ma ti dirò una cosa: il nemico è l’amore. I poeti fraintendono l’amore continuamente e qualche volta lo fanno in buona fede. L’amore è il più antico degli assassini. L’amore non è cieco. L’amore è un cannibale con una vista molto acuta. L’amore è un insetto sempre affamato. E sai di che cosa si nutre, prevalentemente? Si nutre dell’amicizia.”
Una delle risposte fulminanti a chi lo accusava di scrivere sempre canzoni che parlavano di macchine fu: “Io non scrivo canzoni che parlano di macchine. Io scrivo canzoni che parlano di persone dentro le macchine”. Saramago diceva che dentro ogni viaggio c’è sempre un viaggiatore e il viaggiatore cambia a mano a mano che procede il viaggio. Una frase che torna utile, specialmente per quanto riguarda la prima fase della parabola artistica springsteeniana, con personaggi alla ricerca costante di se stessi in posti differenti, perché è inutile continuare ad aggrapparsi alla loro giovinezza perduta, c’è bisogno di mordere il freno, far bruciare l’asfalto e le gomme, fermarsi a un altro distributore di benzina, in questa ultima lunga notte americana, come canterà più avanti in Radio Nowhere (2007, Magic). Pensiamo ad esempio a Born to Run, che è molto più di un semplice album rock. Si tratta di un’esplosione poetica, un grido di strada che esprime al contempo frustrazione e ansia di libertà.
Postilla sul rapporto Auto-Springsteen
Dopo quattro decenni di rock and roll e la vendita di oltre 130 milioni di album, Bruce Springsteen poteva permettersi come minimo una flotta di limousine, eppure la sua collezione di auto è modesta ed è perfettamente in linea con lo status di musicista popolare e operaio. Nascoste negli annessi della sua fattoria di 300 acri nel New Jersey ci sono “alcune auto americane del passato”. Si tratta di alcuni classici americani degli anni ’60 e ’70, oltre ad alcune motociclette e qualche automobile di fabbricazione inglese. Springsteen armeggia quando ne ha la possibilità e le usa il più possibile, quando non si trova in tour o in viaggio lontano dagli States.