Padri, figli ed indipendenza

di Alberto Calandriello.

(Ossia di come Cat Stevens e Bruce Springsteen non abbiano fatto pezzi adatti per il 19 marzo)

Mi ha colpito molto nei giorni scorsi vedere sui social come molti utilizzassero il classico di Cat Stevens “Father and Son” per celebrare la festa del papà.

Al di là di questo e della ovvia libertà di festeggiare come si vuole, la cosa mi ha portato ad una riflessione, grazie anche ad un confronto con un amico, sul testo di Stevens e ovviamente su “Indipendence Day” di Bruce Springsteen.

Dato l’argomento comune, il rapporto padre-figlio, noto che ci siano diversi punti di contatto nel modo in cui i due artisti affrontano il problema.

La canzone di Stevens, come noto, è a due voci, prima il papà, poi il ragazzo, senza ritornelli a spezzarne la tensione.

Mi immagino l’uomo seduto in poltrona, in una posizione di riposo fisico e mentale, come una nave ormai ancorata al porto, che cerca di tenere a bada l’irruenza del ragazzo.

It’s not time to make a change
Just relax, take it easy
You’re still young, that’s your fault
There’s so much you have to know

gioventù come colpa quindi, in attesa che con gli anni arrivino anche esperienza e saggezza; prima di questo, dice, non è il momento di cambiare.

Look at me, I am old, but I’m happy
I was once like you are now

in un paio righe ecco spiegata la distanza tra i due, ossia il desiderio del padre che il figlio capisca come si senta, ma allo stesso tempo, l’incapacità a ricordarsi come lui si sentisse da giovane; perché “ero come te una volta”, nel corso della canzone, emerge come frase fatta e forse ipocrita, poiché non è affatto vero che lui riesca a calarsi nei panni del ragazzo o a far riaffiorare le sue emozioni.

E qui entra in ballo Bruce e il suo rapporto con il padre, che noi fans conosciamo benissimo e su cui ha costruito l’ossatura di diversi pezzi.

Well Papa go to bed now it’s getting late
Nothing we can say is gonna change anything now

non c’è nulla che possiamo dirci ora, si sta facendo tardi, forse è notte fonda, ma soprattutto il “late” è riferito alla possibilità di ricucire il rapporto; qui il ragazzo è in partenza e non ha nessuna intenzione di tornare indietro.

We wouldn’t change this thing even if we could somehow

nella canzone di Cat Stevens, invece, il ragazzo si sente in trappola, fisicamente e psicologicamente

How can I try to explain?
When I do he turns away again
It’s always been the same, same old story

mentre per Bruce è il figlio a chiudere la discussione, qui a impedire che i due si capiscano c’è un alto muro di silenzi e distanze; the same, same old story, perché per quanto il figlio provi a far capire al padre come si sente, lui è convinto non solo che crescendo le cose si sistemeranno, ma che i suoi stessi sogni che oggi lo inquietano, gli appariranno in futuro molto meno importanti

For you will still be here tomorrow
But your dreams may not

come ci può essere dialogo ed empatia, se chi dice “ero come sei tu” sminuisce la forza dirompente dei sogni e dei desideri giovanili? Certo la disillusione fa parte della crescita, ma è una fase a cui arrivare dopo un percorso personale e non indotto o anticipato.

Forse lo dice Bruce:

Now I don’t know what it always was with us
We chose the words, and yeah, we drew the lines

parole, linee, confini, spazi chiusi in cui non far entrare nessuno, tra padri e figli si scavano trincee ed è sempre difficile capire chi debba fare il primo passo, anche se per Bruce il ragazzo prova verso il padre una sorta di nostalgico affetto, di amara malinconia verso chi si è visto portar via (come il padre dell’altra canzone), il piacere stesso dei sogni:

They ain’t gonna do to me
What I watched them do to you

per quanto male possiamo farci l’un l’altro, papà, io ho ben presente cosa altri ti hanno fatto e non lascerò che lo facciano anche a me, dice prima di andarsene.

Perché andarsene, ad un certo punto, diventa l’unica opzione, in entrambi i pezzi; è una decisione già presa in Indipendence Day, è un desiderio che diventa sempre più urgente, quasi vitale in Father and Son

From the moment I could talk
I was ordered to listen
Now there’s a way
And I know that I have to go away
I know I have to go

La chiusura è netta, quasi definitiva, per quanto possa essere definitivo qualcosa da giovani, è da quando posso parlare che mi ordinano di ascoltare, non posso fare altro che andare via.

È diverso anche il contesto in cui si svolgono i due dialoghi, se Cat Stevens raccoglie l’azione in un discorso intimo e personale, il rapporto dei due protagonisti secondo Bruce è influenzato anche dal momento storico e dalla necessità di cambiamento che la società sta attraversando (The River, che contiene la canzone, uscì nel 1980, a cavallo di due decenni complessi e ricchi di cambiamenti importanti).

Now the rooms are all empty down at Frankie’s joint
And the highway she’s deserted down to Breaker’s Point
There’s a lot of people leaving town now
Leaving their friends, their homes
At night they walk that dark and dusty highway all alone

Uno scenario desolante, che anticipa quello che Bruce, stavolta nei panni del padre, si lascerà alle spalle in My Hometown, brano che chiude Born in the USA di quattro anni più tardi e che lo vede abbandonare la città natale con moglie e figlio:

Now Main Street’s whitewashed windows
And vacant stores
Seems like there ain’t nobody
Wants to come down here no more
They’re closing down the textile mill
Across the railroad tracks
Foreman says, “these jobs are going, boys
And they ain’t coming back

Cat Stevens invece sottolinea maggiormente la tensione familiare, in particolare la difficoltà del genitore a riconoscere al figlio una individualità che non sia una semplice fotocopia della propria vita, ma qualcosa di personale ed unico:

All the times that I’ve cried
Keeping all the things I knew inside
It’s hard, but it’s harder to ignore it
If they were right I’d agree
But it’s them they know, not me

“Conoscono loro stessi, ma non conoscono me” urlo tragico e disperato di chi cerca di crearsi un’identità e si aspetta che venga legittimata.

D’altro canto, Bruce lascia che sia il figlio a dare un’apertura importante al rapporto; forse è troppo tardi, me ne sto andando, ma ora capisco cosa volevi dirmi (forse mettermi in guardia) senza riuscirci.

Poco prima di chiudersi la porta alle spalle, le parole del figlio suonano come un appuntamento tra qualche tempo, quando la tempesta sarà finita, quando anche lui capirà l’importanza del fermarsi a riflettere e soprattutto quando i semi che il padre gli ha lasciato, inizieranno a dare frutto:

So say goodbye it’s Independence Day
Papa now I know the things you wanted that you could not say
But won’t you just say goodbye it’s Independence Day
I swear I never meant to take those things away

Non volevo portarti via i sogni papà (la situazione ora è completamente capovolta rispetto al brano di Stevens), ma ora è tempo che io vada via per trovare i miei

Now there’s a way
And I know that I have to go away
I know I have to go

In buona sostanza, continuo a pensare che nessuno dei due brani sia adatto per fare festa il 19 marzo, ma credo che analizzandoli si possano trovare chiavi di lettura importanti per rendere il rapporto genitori-figli migliore.

Se è vero che con l’aumentare degli anni aumenta anche la disillusione, l’età giovanile va vissuta a fondo, con pro e contro, pregi e difetti e soprattutto con gli inevitabili sbagli e conseguenti dietro front.

Nei pezzi di Bruce l’ottica si è comprensibilmente spostata nel corso della sua carriera, ma se ancora oggi ha senso cantare Born to Run, è perché chi l’ha scritta, anche se ormai non sembra più identificarsi con il protagonista, non ha mai rinnegato l’importanza del correre, se si vuole arrivare a camminare nel sole.

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