Compie oggi 48 anni l’album d’esordio di Bruce Springsteen, “Greetings from Asbury Park, NJ”, salutato come l’arrivo del (uno dei tanti) nuovo Bob Dylan.
A 48 anni di distanza, le canzoni di questo disco possono essere lette in una luce diversa, più completa ed obbiettiva e soprattutto possono essere inserite nel contesto più ampio della più che quarantennale carriera del loro autore.
Così facendo, la valanga di parole, personaggi, ambientazioni, che Bruce rovesciò su Greetings può essere vista come una prima bozza di tutto quell’universo che da 48 anni popola le sue canzoni e così tanto ha colpito il nostro immaginario.
Certo, la bozza è confusa, confusionaria, forse ancora non del tutto a fuoco, certe canzoni soffrono di una grave forma di logorrea, ma il tutto produce un caleidoscopio di colori, una enorme tavolozza da cui Bruce prenderà il via per tracciare quella lunga, unica, meravigliosa storia che ancora ci sta raccontando.
Il Bruce di 48 anni fa è un ragazzo che solo nella musica riesce a trovare una via per realizzarsi e questa via percorre con tutte le sue forze, rischiando più volte di esserne sopraffatto (questo album vendette pochissimo, meglio, ma non tanto andò al successivo); un 24enne che sa di vivere in una città di perdenti e di volersene, anzi doversene andare, ma che in questo momento è immerso in un mondo visionario, che si regge sulla sua enorme fantasia, unica fonte di sopravvivenza per chi vive ai confini dell’impero, come possiamo definire il New Jersey rispetto alla grande mela.
E le canzoni raccontano di questo universo, buttando sul piatto tutta una serie di caratteri che andranno via via delineandosi, come del resto si intuisce dai primi secondi dell’album:
Batteristi pazzi vagabondi E indiani in estate Con un diplomatico teen-ager Nei casini per gli orecchioni Mentre l’adolescente segue La strada nel suo cappello Con un gran fardello sulle spalle Sentendomi un po’ più vecchio Ho fatto un giro sulla giostra.
EEEEEHHHH? Ma dove siamo finiti??? Poi quasi a giustificarsi, Bruce ci racconta che sta crescendo, che quindi certe cose ancora non gli sono del tutto chiare, che bisogna dargli tempo e fiducia:
Ero fermo come una roccia a mezzanotte sospeso nel mio travestimento. Ho pettinato i capelli finché non hanno preso La giusta piega e ho comandato La brigata notturna Ero aperto al dolore e sferzato Dalla pioggia ho camminato con una Stampella storta Ho girovagato tutto solo attraverso una Zona “radioattiva” e ne sono venuto via con La mia anima incontaminata Mi sono nascosto nella rabbia rannuvolata Della folla, ma quando Mi hanno detto “siediti” mi sono alzato Ooh… sto crescendo.
E poi regine di regni tristi e guidatori di autobus un po’ folli; è curioso che il cantante che più di altri ha cantato delle auto, delle corse in auto, di auto usate, di auto rubate, di guidare tutta la notte, qui parli di un autobus, quasi a dichiarare la sua non ancora totale indipendenza, unita però all’idea magari non proprio limpida di dove voler andare.
Là dove i sogni degli scaricatori di porto si incrociano con i desideri bagnati dal whisky di poter essere qualcuno un giorno Donne perdute in Vistavision si esibiscono per i ragazzi venuti da fuori nell’ultimo spettacolo.
Lost in the Flood è il picco assoluto dell’album a mio avviso, perché unisce alla capacità visionaria già applicata nelle precedenti canzoni uno sguardo amaro verso la realtà, unendo e mischiando queste due componenti, fino ad ottenere un quadro quasi psichedelico di situazioni assurde, morti, guerra, pazzia.
Qui c’è Rambo, meno muscoloso, meno imbattibile, meno rigido nelle sue espressioni, qui c’è il Vietnam, c’è l’atteggiamento verso chi è stato mandato là a morire e ne viene anche accusato, il tutto dentro una bolla di metafore.
Il soldato malconcio sta tornando a casa come un fuggiasco affamato Cammina attraverso la città tutto solo “Deve essere del forte” sente dire le ragazze della scuola Il suo paese è infestato da branchi di uomini lupo vestiti a festa per uccidere Colpiscono e fuggono, chiedono rifugio, si nascondono sotto una pietra sacra
Distruggono travi e croci con la precisione barcollante di uno spastico. Suore calve incinte corrono attraverso le stanze vaticane, invocando l’immacolata concezione E tutti si sono schiantati sulla strada principale per aver bevuto sangue non consacrato L’attacchino sorride dolcemente mentre il soldato respira a fondo, con le caviglie impantanate nel fango
E io dissi: “Hey, soldato, sono sabbie mobili quelle, sono sabbie mobili non fango Hai gettato via i tuoi sensi in guerra o li hai persi nel diluvio?
For You è dylaniana fino al midollo, con le sue trenta strofe, la sua urgenza, la voglia di affermazione ed autorealizzazione che emerge da ognuna delle trentastrofe.
La chiusura è affidata a due dichiarazioni di intenti, siamo spiriti nella notte, io e la mia banda (Wild Billy, Crazy Janey, Hazy Davy sono i primi personaggi ben definiti) ed il mondo in cui viviamo è principalmente notturno.
Ma soprattutto faccio una fatica maledetta a vivere qui, circondato da questa realtà, è così difficile essere un santo, non lasciarsi andare, non perdere la bussola, in questo casino
Ho la pelle come il cuoio e lo sguardo di duro diamante come un cobra
Sono nato triste e alterato ma ho bruciato come una supernova
Ho potuto camminare come Brando dritto verso il sole
Poi ballare come un Casanova
meglio lasciare andare la penna e la fantasia, immaginarsi un mondo diverso, fatto di gente strana, pazzi, vagabondi, ma vivi e con un’anima.
Buon compleanno Greetings, album che ha ancora delle cose da dire, disco che oggi possiamo capire essere stato un meraviglioso primo raduno dei personaggi che da 48 anni ci fanno compagnia, che attraverso 48 anni sono cresciuti, cambiati, hanno incontrato vittorie e sconfitte ma che sono comunque sempre rimasti fedeli a sé stessi come il loro autore.