Scandinavian Bruce

di Anna Tammi.

Ho ricominciato il tour europeo da dove l’avevo finito l’anno scorso, in Scandinavia, dove Springsteen riceve, da stampa e pubblico, un’accoglienza degna della sua fama di re del
rock, da vero e proprio divo. Lui risponde con grande impegno e generosità, con shows ricchi di energia, di sorprese e ampio repertorio.

Lo scorso anno ad Helsinki, data di congedo dall’Europa, ha espresso profonda gratitudine verso le dimostrazioni di affetto ricevute, con mezz’ora di pre-show acustico solo voce e chitarra, per le poche centinaia di fans già assiepati nel pit. Per il secondo show di Bergen, ha fatto un souncheck di oltre un’ora.

Si è sempre favoleggiato dell’attenzione e precisione maniacale con cui Springsteen cura ogni particolare prima di uno show, ma pensavo che ormai questo modo di agire appartenesse al suo mitico passato. In tenuta casual e occhiali scuri, ha provato per un’intera ora “My Depression” full band. L’ha cominciata e ripresa varie volte nei primi minuti, per niente soddisfatto ha continuato a gesticolare imperioso soprattutto verso Nils e Steve, chiedendo di più e di meglio, poi via via ha voluto sentire prima il violino di Suzy, poi Gary e ad uno ad uno tutti gli altri, discutendo e commentando ad ogni pausa. Man mano che la melodia fluiva e la nuova veste della canzone prendeva corpo, Bruce diventava più rilassato e cordiale con i compagni, approvando e perfezionando suoni e gesti. Dopo un’ora, visibilmente soddisfatto, ha provato un paio di accordi di We Take Care, poi ha dedicato gli ultimi minuti, letteralmente, a misurare il palco con i passi, a controllare la distanza dal palco alla transenna, ha provato un paio di salti e ha fatto regolare al tecnico la scaletta che scende nel pit.

È’ stato infinitamente emozionante assistere alla nuova veste di una canzone di Springsteen in diretta, un po’ come entrare nel suo mondo musicale più intimo e segreto. Con mio grande rammarico, quella sera Bruce non ha eseguito My Depression così accuratamente provata. La sentirò per la prima volta a settembre 2012 al MetLife, versione superba, impeccabile, che mi ha sopraffatta di emozione per la bellezza e intensità dell’esecuzione, oltre che per i vivi ricordi che ogni nota, ogni strofa mi riportava.

Perciò quest’anno ho scelto di sfidare il clima non proprio primaverile del Nord Europa e ripartire dalla Scandinavia. Tre concerti a Stoccolma, inframmezzati da due indoor a Turku, l’antica capitale della Finlandia.

Springsteen è stato come sempre all’altezza dell’entusiasmo del pubblico, accorso in massa nella nuova Friends Arena, capienza circa 60.000, sold out tutte e tre le sere. Generoso e disponibile, ha continuamente cercato il contatto fisico con la gente, passando e ripassando nel pit, cercando di coinvolgere anche quelli seduti nelle ultime file, alternando sapientemente vecchi successi e rarità.

Conscio di avere di fronte un pubblico appassionato e preparato, ha pensato di fargli omaggio dedicando la parte centrale di ciascuno dei tre show di Stoccolma all’esecuzione di un intero album diverso ogni sera, nell’ ordine Bon To Run, Darkness, e Born in the Usa.

La prima volta che avevo ascoltato Bon To Run e Darkness al Count Basie, erano state sorpresa ed emozione a dominare. Questa volta ho apprezzato la bellezza dei brani nella sontuosa esecuzione dei diciassette elementi che attualmente compongono la E Street Band e l’intensità delle esecuzioni di Bruce, che hanno dato risalto a testo e significati.

Ci vuole coraggio per proporre il cupo Darkness ad uno stadio in festa il sabato sera! Nonostante qualche inevitabile sbavatura e malinteso con la band, dovuti all’ improvvisazione live, Darkness è stato il momento più alto di questo leg scandinavo, con il pubblico che non fiatava nei momenti tesi ma pronto a scatenarsi non appena si presentava l’opportunità.

Ci sono stati momenti di pura magia, come Backstreets, di forte impatto emotivo soprattutto con l’aggiunta dell’interludio di Sad Eyes come nel ’78, l’antesignana di Drive All Night lungamente attesa. Mountain of Love, quando Bruce accenna un paio di false partenze provando la voce, ricomincia e poi finalmente decide di eseguirla acustica con la sua voce rock più bella, che scuote nel profondo. E la tromba di Curt Ramm nel silenzio piu assoluto di Meeting Across the Border subito seguita da Jungleland.

L’apertura della seconda serata con la dedica di My Love Will Not Let You Down, la versione fulminante di I’m a Rocker, Leap of Faith e Better Days da Lucky Town, album troppo spesso ingiustamente
dimenticato.

A Turku, forse l’arena più piccola, appena 9000 persone neppure sold out, davanti ad uno dei pubblici più nuovi di fronte a cui abbia suonato di recente, Springsteen ha invece optato per grande varietà di brani lungo l’arco della sua carriera, in maggior parte materiale relativo agli ultimi due decenni, My Lucky Day, This Hard Land, Pay Me con tanto di trenino insieme alla band e mezza dozzina di fans tutto intorno al pit, oltre che una splendida versione acustica di Queen of the Supermarket.

Si è speso come non mai per coinvolgere fin dall’inizio il pubblico con un immediato surfing del pit che ha colto la gente impreparata, a rischio di non riuscire a riguadagnare il palco senza l’aiuto dei suoi. Farà il giro completo del pit ben 4 volte, fermandosi a lungo a stringere mani e cantare in mezzo alla gente incredula e divertita, finendo abbastanza provato ma molto soddisfatto della risposta del pubblico.

La seconda sera, forse ancora in recupero di energie spese a profusione la sera prima, inizia acustico, I’ll Work for Your Love, seguita full band da Long Walk Home e The Ties that Bind, che sono una chiara indicazione di dove vuole indirizzare la serata. Raccoglie e soddisfa un gran numero richieste, imprime allo show un ritmo più rilassato, privo di vincoli tematici se non quello di divertirsi insieme, di ripercorrere insieme le emozioni di quarant’anni di musica. Imperdibili l’interazione di Bruce con il pubblico durante Ain’t Good Enough For You o la sua soddisfazione per il riuscito debutto di Wages of Sin acustica, una delle tante richieste del mitico fan del Belgio che da anni lo segue e persegue con le sue richieste. Ancora una volta è pura magia, nella voce di Bruce soffusa di dolente malinconia e forte partecipazione emotiva, nella tromba impeccabile di Curt Ramm, nella precisa ed efficace regia di Max alle percussioni, attento e impegnato allo spasimo come un principiante.

Complessivamente i due concerti di Turku sono stati diversi, nella struttura e nei temi, quasi estranei allo schema collaudato del Wrecking Ball Tour ma, forse proprio per questo, molto coinvolgenti e speciali. Rispetto allo scorso anno Bruce ha mantenuto intatta la voglia di comunicare e stare sul palco. La sua voce è, se possibile, ancora più bella e ricca di sfumature, il suono della band appare migliorato.

Come quasi sempre in passato, quando il tour si estende oltre una stagione, il rigore iniziale viene sacrificato per far posto alle cosiddette “crowd pleasing”, che consentono a Springsteen di stare maggiormente a contatto con la gente. Il numero dei brani da Wrecking Ball è diminuito a favore di una maggior varietà di canzoni che spaziano lungo tutto l’arco della sua carriera e imprimono un ritmo più veloce, anche se a volte si sente la mancanza del filo conduttore legato all’album e di alcune canzoni portanti come Jake, My Depression, We Are Alive.

C’è attenta ricerca di inserimento e collegamento tra brani storici e rarità, oltre alla tendenza a dare una veste più R&B alla musica, con maggior contributo della sezione fiati, che talvolta risulta un po’ debordante, a scapito della scarna efficacia delle chitarre rock.

Il maggior spazio al repertorio anni ’90, con canzoni tratte da Tunnel of Love, Lucky Town, Tracks, Seeger Sessions e Promise, rimasto ultimamente in disparte, sembra coinvolgere maggiormente sia Bruce che la band e porta nuova freschezza allo show.

Il video di Clarence e Danny passato sullo sfondo, senza pausa, durante Tenth Avenue è più immediato e altrettanto commovente.

Qualche taglio al parlato e ad inutili estensioni dei brani, riducono la lunghezza dello show senza ridurre il numero delle canzoni, a vantaggio di una maggiore compattezza ed efficacia. In qualche occasione Bruce è forse troppo disponibile verso il pubblico, al punto di sacrificare qualche scelta artistica a favore delle richieste e del contatto con i fan, ma fa parte intrinseca del suo modo di stare sul palco e porgere la sua musica. Con poco meno di 80 canzoni in cinque show, una media di una decina di cambi per sera, fino a 17, è stato come assistere a cinque concerti diversi.

Suonare un album completo ad ogni concerto, con generosa disponibilità e dando il meglio di sé, mi sembra un grande regalo di Springsteen ai fan Europei, considerato che i suoi lavori sono sempre stati considerati concepts da ascoltare per intero e che questa scelta va oltre i sogni più ambiziosi di ogni fan. E poiché “un sogno è una bugia se non diventa realtà”… perché non sognare anche una sera con Tunnel of Love o Lucky Town e, ancor più in alto e più forte, Tom Joad o Nebraska Full Band…

Wrecking Ball Tour

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