Tutto è cominciato da qui. Quell’album aveva già i suoi bei dieci anni suonati, io neanche sedici. Il mondo si stava meravigliando del roboante e clamoroso tour seguito all’uscita di Born In The USA, un disco che anche a me piaceva tantissimo e la cui title track cercavo freneticamente di incrociare nelle stazioni delle radio locali. Mi era venuta la curiosità di scoprire chi fosse quel Bruce Springsteen e cos’altro avesse fatto oltre a ciò che ascoltavo in quel periodo. E allora mi comprai il Live 1975-85. Thunder Road in apertura. È stato subito amore smisurato. Perché dietro questa canzone che mi accompagna da una vita, sono andato a cercare l’origine di quei testi e di quei suoni, e l’intero album Born To Run ha lasciato la sua impronta indelebile dentro la mia esistenza.
Racconto parte di questa storia, di come abbia “incontrato” il Boss grazie ad un biglietto trovato in un cassetto al liceo e di come la sua musica mi abbia accompagnato nella crescita umana, in “Cammino con angeli senza dimora. Qua e là per la vita con le canzoni di Bruce Springsteen” edito da Vertigo Edizioni nel 2019. A seguire, alcuni estratti dal secondo capitolo del libro, dedicato proprio a Born To Run:
Credo che nel corso degli ultimi vent’anni (almeno) l’espressione “born to run” sia stata usata, strausata e abusata per indicare tante faccende esistenziali che hanno a che fare con gli sport, le gare, le corse, ma anche il raggiungimento degli obiettivi, l’affaccendarsi continuo (e a volte stressante) nella quotidianità, il vivere sano, e chi più ne ha più ne metta. Laddove dire “born to run” sta ad indicare uno stile di vita, devo ammettere che mi ci trovo assolutamente d’accordo. Non lo intendo ovviamente come un insieme di pratiche giornaliere da compiersi per stare bene; quando dico “stile” mi riferisco più a una filosofia dell’esistere, ad un certo modo di stare al mondo. E anche in questo caso, per comprenderne appieno il significato, devo … correre(!) indietro di un bel trentennio.
Correva l’anno 1986, mese di settembre, e mi apprestavo a sedermi al mio banco, primo giorno di scuola della prima liceo. Quei banchi erano ancora vecchio stile, più simili a pesanti scrittoi che a snelle tavole da lavoro, tant’è che avevano un bel cassetto centrale e alcuni comodi scaffali laterali. Apro il cassetto che credevo vuoto e dentro vi trovo un biglietto ritagliato a forma di impronta di piede con questa frase: Un giorno, non so quando, giungeremo al luogo dove stiamo andando e cammineremo nel sole. Ma fino ad allora i vagabondi come noi sono nati per correre. (Bruce Springsteen, Born To Run).
(…) Il born-to-run-way-of-life da allora è una sorta di paradigma mai messo in discussione. Negli anni di gioventù ha significato tanto dal punto di vista del fare: dopo le prime scelte di vita importanti inerenti perlopiù il distacco da certe pretese finto-moraliste e pseudo-religiose che erano divenute insopportabili, ha assunto la fisionomia del personal trainer nelle vicende professionali, spingendomi a tentare strade nuove, ad apprendere, ad imparare, sostenendomi in un percorso di distacco e autonomia che fu fondamentale per ciò che sarei poi diventato.
Born To Run però parla anche di amore, di protezione, di riscatto, di nuove possibilità che vanno oltre il banale – temi sempre molto cari alla narrativa springsteeniana. Si tratta perciò di un brano che può comprendere a trecentosessanta gradi l’esistere di un uomo. E c’è qualcosa in effetti in questa canzone che è andato ben oltre il fare, ben oltre a quell’ ”utilizzo” (mi si passi il termine) sopra descritto. Qualcosa che ha a che fare con il “definire la persona”, con l’essere.
(…) C’è una frase nella canzone, una frase speciale, che ha a che fare con aspetti della vita difficili da descrivere, ma che senza dubbio coglie appieno quello che è diventato il mio modo di essere, il mio modo di vivere, il mio personale approccio al mondo; (…) ho sempre avuto in testa – e mi auguro di essere riuscito anche a tradurlo in azioni pratiche – che avere a che fare col benessere altrui, cercarlo e favorirlo, dovesse prevedere prima di ogni altra cosa il rispetto della storia dell’altro, il dare all’altro la possibilità di esprimere il suo desiderio di vita o la sua rabbia o il suo dolore, le sue frustrazioni e i suoi riconoscimenti, le sue ambizioni o il suo realizzarsi o i suoi fallimenti. E ho sempre pensato che fosse giusto e doveroso proteggere in qualche modo tutti questi vissuti, perché: chi di noi cresce senza provare tutto ciò? chi affronta la vita senza doverci prima o poi fare i conti? chi non vive momenti di fervida e progettuale visione e altrettanti momenti di senso di abbandono, fatica e solitudine? Non è appannaggio solo di chi è meno fortunato scontrarsi con una realtà diversa da come la si sarebbe desiderata; né è appannaggio esclusivo dei più fortunati avere sogni e risorse per realizzarli. E la storia personale di ciascuno – soprattutto in quelle situazioni dove vivere è dura, dove ci si trova impotenti davanti a situazioni di fragilità e miseria, dove spadroneggia un’inquietudine conseguente alla sofferenza disarmante (e spesso invisibile agli occhi della gente) della malattia, psichica o fisica che sia – la storia personale di ciascuno, dicevo, ha necessità di reggersi su sogni e visioni che potrebbero anche essere irrealizzabili, ma che tengono in piedi.
Per questo Born To Run è speciale: contiene quella frase che per me è fondamentale nello sviluppo di ogni relazione (…):
I want to guard your dreams and visions
Voglio proteggere i tuoi sogni e le tue visioni.
Brani tratti da Cammino con angeli senza dimora qua e là per la vita con le canzoni di Bruce Springsteen (Vertigo Edizioni, Roma 2019)