di Gianluca Catullo.
Premessa
Quest’anno avevo deciso di farmi solo una data in Italia e così è stato. Ho scartato San Siro,
pur avendo di quel posto dei ricordi straordinari che mi accompagneranno per il resto dei miei giorni (il diluvio del 2003 tanto per citarne uno) e ho optato per Firenze, che logisticamente mi sembrava più comoda, e anche meno faticosa, visto che gli anni passano e uno può avere un pò meno voglia di lottare per arrivare là davanti. Per una serie di eventi fortuiti un biglietto resosi disponibile all’ultimo momento è finito nelle mani di mio padre settantatreenne, che per anni ha cercato di capire i motivi di una passione così inossidabile. Siamo entrati al Franchi con calma, intorno alle 18 dopodiché ci siamo separati perché lui voleva rimanere in un posto tranquillo, mentre io mi sono piazzato con alcuni miei amici all’altezza del mixer. Poi è arrivato Bruce e dopo un pò la pioggia. Sottile, all’inizio, e dopo torrenziale. Ero sicuro che ad un certo punto mio padre si sarebbe messo al riparo per cui quando a fine concerto l’ho trovato ancora al suo posto, completamente zuppo, mi sono sentito in colpa per averlo coinvolto in quell’avventura. A due mesi di distanza ancora sostiene che ne sia valsa la pena. E soprattutto ora dice di comprendere perché io, mia sorella, gli springsteeniani si sbattutono così tanto per inseguire Bruce.
Il tormento interiore
Era dicembre quando ho preso i biglietti per la data del 17 luglio a Dublino. Non c’ero mai stato in quella città e la presenza di Bruce mi sembrava una buona opportunità per visitarla. Qualche giorno dopo venne poi aggiunta una seconda data. Beh, ho rosicato non poco. Con Bruce non ti puoi permettere di non andare a due date consecutive nella stessa città, pena il rimorso eterno di aver perso setlist da sogno, cover inedite e quant’altro. All’inizio decisi di soprassedere, anche perché i costi dell’operazione Bruce 2012 iniziavano a farsi consistenti. Il tarlo però mi era entrato in testa e lavorava, silenziosamente ma inesorabilmente. Ad un certo punto, credo ai primi di gennaio, azzittisco tutti dubbi interiori, mi collego ad internet e prendo il biglietto anche per la serata del 18. Riprendo a respirare dopo che il video mi conferma che l’operazione è andata a buon fine.
Luglio 2012
A gennaio sembrava non potessero passare 6 mesi e invece il lavoro e la famiglia ti assorbono a tal punto che quasi improvvisamente mi trovo a fare la valigia per Dublino. Le previsioni danno pioggia, ma mi convinco che NON può piovere più di quanto abbia piovuto a Firenze. Stavolta però sostituisco l’inutile kway con una giacca leggera, ma davvero impermeabile. Partiamo in cinque e lunedì 16 all’ora di pranzo siamo a Dublino.
Ho due date a disposizione quindi mi posso permettere il 17 di girare per la città ed arrivare all’arena RDS intorno alle 17:30. Sono 4 fermate di treno da dove alloggiamo. Facciamo tutto in maniera molto rilassata, non ambiamo a posizioni particolarmente vantaggiose. Ci mettiamo poco dietro la transenna del PIT, a sinistra del palco: per mancare un’ora e mezza all’inizio del concerto mi pare una posizione di tutto rispetto. Mi alzo e vado a farmi un giro. Dall’altro lato rispetto a dove stavamo noi mi accorgo che c’è una fila. Saranno una sessantina di persone in tutto. Possibile che stiano in fila per accedere al pit? Chiamo gli altri, ci mettiamo in fila anche noi e in dieci minuti siamo dentro ad ammirare il nostro bel braccialetto rosso. Beh, niente male. In effetti il pit era mezzo vuoto quindi, come accaduto in altre occasioni, ad un certo punto hanno iniziato a far entrare gente. Fantastico là dentro, tutto molto tranquillo, ampi spazi. E… soprattutto un gran sole, tant’è che quando Bruce e gli altri entrano indossano occhiali neri per evitare di essere abbagliati.
L’interruttore
Quando Bruce entra in scena, lo devo ammettere, l’emozione mi prende sempre un pò. Perché quello è il momento in cui finalmente ti rendi conto che l’interminabile ed estenuante liturgia del fan springsteeniano è finita, l’ultima tensione si scioglie e il Bruce in carne ed ossa è lì davanti a te. Stavolta però è stato diverso perché la scena dell’interruttore è stata troppo divertente. Non credo di aver mai riso così tanto ad un concerto di Bruce come stavolta. Senza entrare nella diatriba sull’opportunità o meno di interrompere l’evento di Londra, penso che le scenette siano state la migliore risposta che Bruce e company potessero dare a chi, per una manciata di minuti, ha interrotto uno spettacolo che è ormai parte della storia del rock. Lo definirei uno sberleffo,un gesto beffardo che colpisce a fondo ma non offende, perché sottile ed elegante (a differenza ad esempio del dito medio di Stevie della serata successiva, ma questa è un’altra storia). E il tutto accade in terra di Irlanda, dove l’astio verso gli inglesi, seppur spuntato e fortunatamente oggi inoffensivo, è parte integrante di una cultura plurisecolare. E in questo contesto I fought the law ci stava bene, con i padroni di casa a cantarla a squarciagola.
La setlist
Dopo la ripresa di Twist & Shout insolitamente in apertura e I fought the law, lo show rientra nei canoni della struttura che caratterizza questo tour, fino a quando Bruce esegue I’m a rocker richiesta da un cartello. Seguiranno poi gli altri brani usuali con l’inclusione di Murder, Raise your hands e My Hometown, dedicata a Bono. Easy money viene eseguita condividendo il microfono con Patti “che ritorna a casa” dopo una lunga assenza, come sottolineato da Bruce la sera successiva. Durante Dancing tira su una bella signora con i capelli grigi (oh ma veramente bella eh!). Il set finale vede la presenza di Rosalita e la prevedibile chiusura con American Land. Appena chiuso il concerto con tempismo perfetto inizia a piovere, evviva l’Irlanda!!
La seconda serata
Sono sicuro che Bruce voglia regalare qualche chicca al pubblico e il pit, da solo, non mi basta. Stavolta decido di andare prima, così arrivo intorno alle 10.30. Mi prendo il numero 681 e penso che forse sarei dovuto arrivare un pò prima ma pazienza, va bene così, mi sono intrattenuto a colazione con i miei compagni dell’avventura di ieri perché oggi non mi seguiranno.
Tutto l’ambaradan dell’assegnazione dei numeri, gli appelli, le file sono gestiti dall’organizzazione. Ci troviamo a circa 200 metri dal cancello di ingresso, ci sono le transenne e i bagni chimici. Dopo circa un’oretta arriva un camion e scarica altri due bagni. Le file per espletare i propri bisogni fisiologici sono brevissime. C’è un chioschetto che vende coni di gelato irlandese (?) che nel frattempo guadagna migliaia di euro…
Ogni volta che visito i paesi del nord Europa mi chiedo in quale epoca storica e per quali ragioni siamo stati noi a tramutarci in barbari… Quando si decideranno Trotta e i vari promoter ad importare certi metodi anche da noi?
In giro c’è qualche gruppetto di italiani, ma me ne aspettavo di più. Sono in fila assieme a due signori di mezza età di Roma. A proposito di età, mi pare che l’età media sia molto più elevata qui che dalle nostre parti. Il tempo oggi è un pò più dispettoso, ogni tanto parte l’acquazzone, ma è di breve durata e la mia giacca regge che è una bellezza (Firenze docet). Alle 16:30 ci incamminiamo per entrare. Nessuno corre, nessuno spinge. Arrivo in seconda fila, defilato sulla sinistra, in zona schermo verticale. Davanti a me c’è una signora dai capelli bianchi, avrà 72-75 anni (!). Penso ok, mi metto dietro a lei, perché questa non regge tre ore e mezzo. Appena si sposta mi prendo la transenna… E invece niente da fare, dalle 16:30 alle 23 né una pipì, né un segno di cedimento. Non schioderà di un centimetro fino alla fine del concerto.
Alle 18 arriva Bruce, si avvicina all’estremità sinistra della transenna per un rapido saluto. L’aria è diventata improvvisamente gelida ma la pioggia sembra essere meno frequente ora. Si intravede qualche sprazzo di cielo blu.
Il concerto
Il cielo sopra l’arena è quasi sgombero di nuvole. Stavolta Bruce entra da solo. Credo siano le 19:40. Imbraccia la sua chitarra acustica ed inizia a suonare, ma non è ancora chiaro cosa. Poi intona con l’armonica le prime note di This Hard Land. Il concerto inizia con This Hard Land. EHM, VOLEVO DIRE CHE IL CONCERTO PARTE CON THIS HARD LAND!! Non sapete quanto ho inseguito questa canzone…
Finita This Hard Land sarei anche potuto andarmene in hotel contento. Decido di rimanere (eh eh… tanto la signora davanti a me tra un pò cede….). Entra la band e sorpresa… Jake viene portato in carrozzella perché pare si sia fatto male alla schiena per uno starnuto. Per la cronaca, la sera prima sia Patti che Suzie sono capitolate rovinosamente a terra, su un palco evidentemente reso insidioso dall’umidità. Suzie, in particolare, è caduta pesantemente sulle ginocchia tant’è che non mi sarei stupito di vedere lei in carrozzella. Poi è la volta di No surrender, Two Hearts, The ties that bind (!). Nel frattempo è uscito il sole, qualcuno della band inforca gli occhiali scuri. Il povero Max fatica a seguire i movimenti di Bruce ed è costretto a portare mano e bacchetta sopra gli occhi per non essere accecato dal sole. Dal cilindro poi escono Something in the Night, Adam e soprattutto Jackson Cage. E’ poi la volta di Atlantic City e Because the Night, con Niels che gira come una trottola sull’assolo finale, come abbiamo visto fare lo scorso tour.
La mia The Promise al piano e parte di Backstreets vengono disturbate da una serie di eventi che incidentalmente accadono nel punto dove mi trovo io. Nell’ordine: arrivo, permanenza e successiva scomparsa di donna sui quaranta in evidentissimo stato di ebrezza; arrivo e trasferimento nel sottopalco di due signore di 65-70 anni completamente ubriache ed incapaci di reggersi in piedi. Non so se mi sono spiegato bene: due vecchiette ubriache sollevate di peso dalla security e fatte passare sopra la transenna per essere trasportate via!!!! Mai visto nulla di simile.
Durante Glory Days Bruce chiama Stevie e gli fa indossare un cappello da cowboy bianco, mentre lui ne indossa uno marrone a falde più strette. Sembrano due vecchi in preda ad una crisi di demenza senile, ma ovviamente gli perdoniamo questo ed altro. Bruce poi prende un cartello con su scritto “What’s a curfew?” e Stevie, come già accennato, sfodera il suo medio destro (è vero, ultimamente si sta facendo un pò prendere la mano). Il concerto si conclude ancora una volta con American Land.
Alcuni commenti
Avevo ragione. Se non avessi preso il biglietto per la seconda serata ora sarei ancora a mangiarmi le mani. Facendo rapidamente i conti i due concerticomplessivamente hanno regalato 46 brani diversi, con una serie di chicche tra cui svetta (per me) This Hard Land. Mi incuriosiva molto vedere come si sarebbe comportato il pubblico irlandese e devo dire che in linea di massima l’esperienza è stata positiva. Soprattutto nelle fasi iniziali la differenza con gli italiani o gli spagnoli è piuttosto evidente, ma dopo un pò il pubblico inizia a carburare e il feeling complessivo raggiunge livelli soddisfacenti. Certo, alcuni di loro – compresi alcuni che si sono fatti la fila dalla mattina – sembrano essere lì solo per bere birra, e in taluni casi sono costretti volenti o nolenti ad abbandonare il terreno. E poi ribadisco: mai visti così tanti anziani farsi la fila dalla mattina per accedere al pit. Infine, provo ad avventurarmi su un terreno molto scivoloso, ovvero sul senso da dare a questo tour.
Il messaggio
Se togliamo per un attimo i brani che entrano ed escono dalla setlist, e quelli più festaioli mi pare rimanga uno scheletro di canzoni dure, con le quali Bruce si rivolge direttamente alle persone che lottano quotidianamente con una crisi devastante, che non ha paragoni con quanto successo in passato. E che porterà inevitabilmente ad un mondo diverso, forse anche migliore, ma profondamente diverso da quello che siamo abituati a conoscere. Non sempre si dispone degli strumenti giusti per interpretare correttamente quello che accade attorno a noi e spesso i messaggi veicolati dai media appaiono fuorvianti, così come quelli provenienti dal mondo politico, che continua a propinare soluzioni vecchie ed inefficaci a problemi strutturali. E allora gli artisti possono venirci in aiuto perché il loro punto di vista è fuori dagli schemi. Mi viene in mente l’opera di Bansky di qualche mese fa, una scritta che recita: “Sorry, the lifestyle you ordered is currently out of stock”. Ecco questo per me è un colpo di genio. Sono dieci parole che ritraggono esattamente la situazione attuale. Ovvero: ragazzi non facciamoci illusioni perché qua la festa è veramente finita. Alla faccia di tutti coloro che continuano a dire che riprenderemo a crescere e che la crisi finirà domani.
Bruce dal canto suo non credo sia in grado di fare analisi particolarmente profonde riguardo le ragioni di una crisi, ribadisco, strutturale. Ciò nonostante dal suo punto di vista riesce a captare il fortissimo malessere che noi tutti stiamo vivendo. E’ il malessere che ha conosciuto il Bruce bambino e che ha poi trasferito in molti dei personaggi di tante sue canzoni. Così, nonostante il suo conto bancario stratosferico, riesce empaticamente a calarsi nei nostri panni e a sfornare un album come Wrecking Ball. Molto diretto, al punto da rischiare la banalizzazione di tematiche così delicate – ed in questo capisco le perplessità di Andrea e di altri in ML – però forse oggi bisogna essere diretti per svegliare un’audience imbambolata ed anestetizzata da decenni di consumismo sfrenato e di individualismo, un’audience oggi incapace di reagire allo smantellamento dei diritti conquistati nel corso di decenni. E questa perdita di senso critico non è un problema esclusivo del cittadino americano medio ma riguarda tutti, europei inclusi. Quindi, per citare qualche brano, se nella scaletta inserisce regolarmente Born in the USA lo fa perché il suo personaggio fa una fatica bestia a sopravvivere, così come privilegia The River all’altrettanto famosa ma certamente più frivola Thunder Road. E poi c’è il nucleo di brani estratti da WB, con Jack of all trades che strappa applausi a chiusura del verso sui bastardi a cui Jack sparerebbe volentieri. Sia a Firenze che a Dublino ho trovato quegli applausi inappropriati, però se quella frase o l’intero brano riesce a scuotere qualche mente allora va bene. Perché il messaggio di Bruce che ho percepito – soprattutto a Dublino, forse perché là si rivolgeva a delle persone che storicamente hanno dovuto faticare di più per cavarsela rispetto a noi italiani – è che bisogna tornare a riprenderci quello che negli anni ci è stato tolto. I valori fondamentali innanzitutto. E’ da lì che dobbiamo ripartire ed è quello il bagaglio che dobbiamo portarci dietro. Tutto il resto possiamo lasciarlo, non è necessario sul treno di Land of hope and dreams.
Stay hard, stay hungry, stay alive…