di Emanuele Martignoni.
Sicuramente la data di oggi è memorabile, per molti. Perché non si tratta solo di una ricorrenza importante; si tratta più che altro di sgranare momenti di storia, personale e sociale, che per qualche strano mistico incontro tra il caso, la sorte e la scelta, hanno in qualche modo trasformato esistenze o parti di esse.
Un vecchio adagio dello springsteenianesimo recita che “o ti piace Bruce Springsteen oppure non l’hai mai visto dal vivo”; per quel che mi riguarda, Bruce mi è piaciuto prima di vederlo live, quindi posso ritenermi tra gli eletti che hanno incontrato la sua musica e le sue storie con un atto di consapevolezza, avendolo sentito e seguito prima di averlo visto – sembra quasi un un atto di fede: magari non si arriva a tanto, ma poco ci manca. Questo incontro è avvenuto quando, ancora ragazzo, ho trovato nelle canzoni e soprattutto nei testi del Boss la “mia America”, la mia terra promessa. Perdendomi tra le righe e le note di Thunder Road, Born To Run, Jungleland, Racing In The Street, Streets Of Fire, The Promised Land, The River, Hungry Heart, Drive All Night, Nebraska, Born In The USA, Glory Days, Tougher Than Rest, Walk Like A Man (sono titoli di una discografia compresa tra il 1975 e il 1988: il mio incontro con Bruce è avvenuto nella prima metà degli anni Ottanta), perdendomi tra le righe e le note di queste canzoni – dicevo – ho trovato le parole che raccontavano quanto ancora si trovava ingarbugliato nei miei pensieri, ho spalancato i miei sogni ad un’America non più tanto immaginaria, ma più che mai calata negli aspetti del quotidiano: la questione non era attraversare l’oceano per viaggiare negli USA (cosa che ho anche fatto negli anni Novanta), ma cogliere che la dimensione sociale e umana, semplice e mai scontata del vivere poteva crescere dentro di me e quelle tracce musicali mi stavano aiutando ad orientare i miei passi. Una spinta a correre verso una terra promessa che non era tanto un luogo quanto una dimensione esistenziale.
Non so se la mia vita sarebbe stata diversa senza Bruce, certamente avrebbe perso qualcosa di importante.
Il born-to-run-way-of-life da allora è una sorta di paradigma mai messo in discussione. Negli anni di gioventù ha significato molto dal punto di vista del fare: dopo le prime scelte di vita importanti inerenti perlopiù il distacco da certe pretese finto-moraliste e pseudo-religiose che erano divenute insopportabili, ha assunto la fisionomia del personal trainer nelle vicende professionali, spingendomi a tentare strade nuove, ad apprendere, ad imparare, sostenendomi in un percorso di distacco e autonomia che fu fondamentale in ciò che sarei poi diventato. Born To Run però parla anche di amore, di protezione, di riscatto, di nuove possibilità che vanno oltre il banale – temi sempre molto cari alla narrativa springsteeniana. Si tratta perciò di un brano che può comprendere a trecentosessanta gradi l’esistere di un uomo. E c’è qualcosa in effetti in questa canzone che è andato bel oltre il fare, ben oltre a quell’ “utilizzo” sopra descritto. Qualcosa che ha a che fare con il “definire la persona”, con l’essere.
La mia corsa verso il divenire uomo è andata in parallelo con la maturità artistica del Boss, il quale, dopo l’esplosione planetaria di Born In The USA, ci ha regalato, mi ha regalato, una serie di quadri meravigliosi e drammatici di lettura politica e umana della società: The Ghost Of Tom Joad, Devils & Dust, The Rising sono tre album nei quali non solo si sottolinea che cosa sia davvero il “sogno americano” (qualcosa di cui tutti devono far parte, non è una questione personale, ma comunitaria), ma si è invitati ad acquisire un senso di responsabilità sociale che non può, non deve lasciare indifferenti. Questo sguardo amorevole e spietato, questa presa di posizione definitiva, questo dire chiaramente da che parte si sta (Streets Of Philadelphia e Working On A Dream hanno rimarcato questo concetto), sono state (e sono tuttora) enormi spinte motivazionali nella costruzione di una vita nella quale non vi è solo una quotidianità da inanellare con la fatica e la gioia delle consuetudini, ma soprattutto un modo di essere da alimentare con valori etici e umani che necessitano di essere trasmessi e condivisi: perché la terra promessa non è altrove, ma è quanto ciascun “io” sa dire e dare di amorevole e autentico nella corsa della sua vita.
Tanti auguri, Bruce! Il regalo lo ha fatto tu alla mia vita, di questo non ho dubbi. Continua a correre fin che puoi, eterno ragazzo, e regalaci ancora qualche piccolo o grande sogno. Noi, te l’assicuro, faremo la nostra parte in questo viaggio.
La citazione presente nell’articolo è tratta dal volume “Cammino con angeli senza dimora. Qua e là per la vita con le canzoni di Bruce Springsteen“ (Emanuele Martignoni -Vertigo Edizioni 2019)