Wachovia Center 05-06.10.2007
di Anna Masini
Venerdì 5 ottobre – C’è uno speciale feeling che lega Bruce Springsteen ed il pubblico di Philadelphia e si traduce in grandi sorprese, show indimenticabili e divertimento collettivo ad ogni incontro. Questa volta però, Bruce viene a Philadelphia insieme alla E Street Band, dopo la pausa dello scorso anno con la Seeger Band, ha un disco nuovo, ed ha iniziato il nuovo tour solo l’altro giorno in Connecticut. Ricordando che le prime date del Rising tour avevano una setlist fissa e inamovibile, non osiamo aspettarci troppo.
Philly ci accoglie con un bel sole caldo, 32 gradi all’una di pomeriggio. Ci precipitiamo all’ hotel. niente check-in fino alle quattro del pomeriggio. Allora subito al Wachovia Center, sotto il sole cocente, attraverso l’enorme spianata dei parcheggi. La distribuzione dei braccialetti per la General Admission va a rilento, dovendo tornare a registrarci in hotel perdiamo il posto in coda. Quando riusciamo a tornare, hanno già chiuso, e non serve a nulla protestare e mostrare gli orologi che non segnano ancora le cinque. Sono stati distribuiti 800 bracciali, viene sorteggiato il numero 405 e nel pit andranno in 350. Intanto l’atmosfera intorno al Wachovia diventa via via più elettrizzata. L’area si anima del solito movimento pre-show, sfilano le maglie di decine di concerti passati, tirate fuori dai cassetti e rimesse a nuovo per l’occasione. Si mangia e si beve nelle apposite aree all’aperto, accompagnati da cover band e da coraggiosi fans che improvvisano karaoke sulle note di Radio Nowhere. Sul palco si alternano anche i componenti dell’ormai mitico ed immancabile gruppo del New Jersey “Boccigalupe & The Bad Boys”.
Per una serie di casualità fortunate, entriamo nel Wachovia subito dopo quelli del pit e ci sistemiamo comodamente alla seconda transenna, con visuale libera e ravvicinata, niente persone alte davanti per tutta la durata del concerto, e con il notevole vantaggio di appoggiare alla ringhiera le membra stanche dal lungo viaggio.
Bruce e la ESB arrivano alle 8 e 18, a luci spente, al suono di Man on the Flying Trapeze, per riconnettere e ricollegare l’ Uomo che Vola sul Trapezio del tour passato, con il filo magico del nuovo lavoro. L’aspettativa e l’entusiasmo sono altissimi, tutta l’arena è in piedi, le urla coprono le prime note di Calliope, la tastiera elettronica di ottone lucente, dal suono simile ad un carillon, usata per suonare Trapeze. Pare che questo strumento fosse in uso a New Orleans agli inizi del 1900. Bruce in nero, con una pettinatura, meglio sarebbe chiamarla spettinatura, che lo fa sembrare una via di mezzo tra Keith Richard e Bob Dylan. Sembra anche molto abbronzato, probabile che sia trucco di scena per gli schermi TV. Appare in formissima.
“Is there anybody alive out there?”. La Band è dietro, nella solita disposizione. Dopo l’affollamento del Seeger tour, il palco sembra un po’ vuoto e triste. Appaiono tutti molto concentrati e un po’ rigidi, si muovono ed interagiscono pochissimo durante tutto il concerto, troppo intenti a prendere confidenza con il nuovo lavoro. Il più vivace sembra Clarence, dimagrito ed in apparente buona forma.
La partenza è al fulmicotone, la Radio che viene dal Nulla lancia il suo desolato messaggio con forza ed energia. SeguonoNo surrender e Lonsome Day, veloci e senza respiro. C’è grande partecipazione del pubblico, che balla tutto in piedi, pugni levati. Gipsy Biker, storia di sconfitte come solo Bruce sa raccontare, è preceduta da intenso intro all’armonica e sottolineata da furiosi scambi di chitarra con Steve. Molto intensa e coinvolgente.
Magic, dice Bruce, non è una canzone sulla magia, ma sui trucchi che fanno sembrare le verità bugie e le bugie verità. La definisce “Orwelliana”. Parte acustica e la band entra a poco a poco. Bruce la canta con tutte le sfumature e le sottolineature di voce possibili, per dar risalto al testo. Più abbassa la voce e più la canzone diventa vibrante e piena di significato. “And the freedom that you sought is Driftin’ like a ghost amongst the trees”, comunica tutto il dolore della perdita. Magic non suscita entusiasmi nel pubblico di Philadelphia, e Patti seconda voce, sembra superflua nel contesto, rischia di togliere efficacia all’ interpretazione, molto sentita, di Bruce.
Adesso Bruce soffia con forza e intensità nell’ armonica, gli occhi che brillano per l’ emozione che legge sui nostri volti, Steve estrae note blues dalla chitarra, per una versione di Reason to Believe incredibilmente bella. Ricorda ZZ Top o Booker T and the MGs. Il microfono che distorce viene utilizzato solo sul verso finale. Non si puo’ fare a meno di sognare tutto Nebraska elettrico, un brano alla volta, sera dopo sera. Potente assolo di chitarra su Candy’s Room, che va ad attaccarsi direttamente a She’s the One, con un effetto di devastante potenza. Si procede tra grandi schitarrate, energia al massimo, aria di festa r’n’r.
Living in The Future viene preceduta da un breve discorso politico di Bruce sullo stato dell’ Unione. Saluta Philadelphia, che possiede tutte quelle cose che si amano dell’America: Philly cheese steaks, french fries, Italian Ices, Clarence Big Man Clemmons, the Bill of Rights, il baseball… cita i Phillies, che domani sera si giocano la qualificazione: “posso predire che ce la faranno, benchè non possa garantirlo”. Invita tutti i cittadini ad attivarsi per proteggere la Costituzione e spiega che Living in The Future parla delle cose successe negli ultimi 6 anni e che nessuno avrebbe mai pensato sarebbero accadute in America: intercettazioni illegali, negazione del diritto habeas corpus, in pratica la revoca delle libertà civili. Parte del pubblico applaude, una parte manifesta disappunto con qualche vigore. Living in The Future dal vivo diventa un vero e proprio rap, ma perde musicalità e mordente rispetto alla versione su disco. L’accompagnamento di Patti non sembra migliorare le cose, non risulta particolarmente gradito al pubblico, che comunque si unisce al cantato finale: na-na-na-na…
Ottimo solo di Clarence, su Promise Land. Evocativa e scintillante, rimane un momento alto di esaltazione collettiva, una professione di speranza e di fede cui partecipano tutti, con i pugni levati. Bello il duetto di Bruce e Patti in Brilliant Disguise. I brani da Tunnel of Love sembrano i più adatti ad entrare in rotazione per questo genere di momenti a due, si inseriscono bene anche tematicamente. Al termine del brano, Bruce promuove il nuovo disco di Patti, da vero imbonitore e riprendono i brusii di dapprovazione.
My Hometown e mi viene da pensare: “ancora?”. Ma poi la canta come avrei sempre voluto sentirla, il pubblico gradisce e canta insieme. Darlington County, l’ audio non è molto buono, ma sembra proprio che Bruce abbia lasciato intenzionalmente il verso “Our pa’s each own one of the World Trade Centers”, con evidente intento politico. Gli ultime tre brani s’inseriscono bene nel tema di Magic. Brilliant Disguise parla di inganni e mistificazioni, di un uomo che ha perso la fiducia in se stesso e nelle proprie certezze: “God have Mercy of the man who doubts what hès sure off”. My Hometowndescrive una città che si è trasformata al punto da non riconoscerla più come propria e i protagonisti di Darlington County vogliono far credere di essere addirittura i proprietari del WTC. Il passo di questi brani, pero’, spezza il ritmo della serata, spegne gli entusiasmi e l’ energia. Non aiuta il suono, veramente pessimo, confuso. Non si capisce una parola di quel che dice Bruce, non si distingue la voce, non si distinguono gli strumenti. Sul palco sembrano consci e debitamente preoccupati dell’ inconveniente, nervosi e deconcentrati. Lo stesso Bruce, che cerca di compensare con un gran movimento a tutto palco, sembra più velleitario che convincente. Di solito, all’inizio di un nuovo tour, lo si vede andare da ogni parte a controllare, suggerire, incitare. Ora sembra faticare ad assumere il controllo della serata, preoccupato da troppe cose: il suono pessimo, il teleprompter, i compagni un po’ insicuri..
Per fortuna la serie Devil’s Arcade, Rising, Last To Die e Long Walk Home, cattura di nuovo l’ attenzione del pubblico, è indovinata e piena di significati. Ripercorre i sei anni che dalla caduta delle torri hanno portato alla guerra con l’ Iraq ed alla perdita di tante vite. Come sempre, Bruce riesce a dire meglio le cose con la sua musica e con le sue storie, che con una predica dal palco. In Devil’s Arcade Bruce mette l’anima, va vicinissimo alla camera, tutti possono vedere l’emozione e l’intensità’ del suo viso mentre canta. La voce su Last To Die è incredibile, la migliore della serata. Long Walk Home è un tremendo crescendo, una forza dirompente, alla disperata ricerca della fede e della certezza nel domani. L’assolo di chitarra si fonde con il sax, scatenando un boato. La travolgente, impeccabile Badlands che segue, in un tripudio di chitarre, ristabilisce la fede e l’ entusiasmo dei fans. Bruce ha tagliato gli oh oh oh a metà canzone, per aumentarne ritmo e velocità, ma li lascia riprendere nel finale. Continuano anche quando tutti hanno lasciato il palco, mentre il buio si anima alla luce di centinaia di cellulari ondeggianti all’ unisono, che poichè Viviamo in The Future, hanno definitivamente soppiantato i vecchi accendini.
Girls in Their Summer Clothes sembra una pop song anni ’60, riprende la tendenza a dire cose serie su una musica leggera e spensierata. Dal vivo, risulta gradevole ed efficace. Bruce dedica Thundercrack, lunga e divertente, a Philadelphia. Duetta con Nils e chiama Susie al violino. Per il pubblico locale questo brano rappresenta una vera occasione di festa, l’entusiasmo torna a salire ancora. Born to Run, a luci completamente accese, è una gioia anche per gli occhi. I vecchi cavalli di battaglia mantengono ritmo indiavolato, sono veloci e pieni di energia, tutto il Wachovia ha i pugni al cielo in un gesto di sfida: “I Believe in the Faith”. Bruce scende a suonare la chitarra in mezzo alla gente. Alla fine se ne va sugli oh oh oh del pubblico, ed i cellulari riprendono la Ola. Poi si ferma appena dietro e dice “it ain’t over yet”, non è ancora finita. Il Magic Sax di Clarence da il segnale per continuare la festa con Waitin’, aspettando un giorno di sole, per un po’ di ottimismo dopo tante storie e previsioni cupe. Il ritmo resta elevato, e Waitin’ è perfetta per un potente karaoke collettivo. “Se volete che i Phillies vincano stasera, dovete cantare piu’ forte”, incita Bruce. Ma la canzone manca un po’ della forza di altri brani rock del suo repertorio, comeYou Can Look e Going Down, o classici come Glory Days.
Si chiude con Pete Seeger, il rivoluzionario della musica folk. American Land non è troppo familiare al pubblico rock di Philly, ma al momento stabilisce continuità con il tour precedente, e la batteria di Max da’ inizio alle danze. Nel pit pogano furiosamente e si sente l’ arena vibrare. Alla fine Bruce saluta con un invito: “fate sentire la vostra voce là fuori, difendete le vostre libertà”. Si ferma di nuovo per presentare velocemente la Band, prima di riprendere ancora una volta brevemente American Land. Si radunano tutti per i saluti, Bruce si volge a ringraziare verso ogni lato, fa un inchino a quelli con i seats dietro al palco, e se ne va.
Oltre 2 ore e 15 tirati al massimo, pochissime pause, notte di karaoke collettivo, clima festoso, pubblico carico, partecipe e generoso, che balla ed incoraggia senza sosta i suoi beniamini, nonostante le molte incertezze e gli errori, nonostante il suono pessimo. La serata era iniziata molto bene e con gran ritmo. Come sempre alla prima di serate multiple, c’erano grande concentrazione e intensità, le canzoni nuove prendevano risalto, i brani storici brillavano per freschezza e vitalità. Lo show ha perso di mordente e fluidità da Brilliant Disguise in avanti, ritrovando smalto ed energia solo a tratti. Emozione ed incertezza hanno preso il sopravvento, gli elementi della Band statici, preoccupati, senza un sorriso. Un po’ insolito ad un concerto di rock’n’roll. Il contrasto è ancor più grande al ricordo del Vote For Change 2004, dove sembravano diavoli scatenati e rovesciavano una valanga di energia sul pubblico. Ha influito pesantemente sulla performance la pochezza del suono, decisamente pessimo, troppo alto e inadeguato alla potenza degli strumenti. Le cose migliori della serata sono state Nowhere, Reason To Believe, Gipsy Biker, Devil’s Arcade e Long Walk Home, oltre alle inossidabili, formidabili Badlands e Born To Run.
C’è grande potenziale sia nei temi delle nuove canzoni, sia nella scelta dei brani storici da inserire, anche se la Band deve ancora familiarizzare con le canzoni nuove, mancano un poco di scioltezza e disinvoltura negli attacchi. Vecchio e nuovo si integrano bene, confermando la versatilità del materiale di Bruce e la sua capacità di utilizzarlo al meglio. Ci sono molti testi che possono entrare in rotazione nel discorso da Devil’s Arcade a Long Walk Home, e qualcosa da aggiungere ai capisaldi Promised Land, Badlands e Born To Run,per portare in giro il più bel r’n’r del mondo. American Land in chiusura, funziona meno bene che durante il Seeger Tour, avendo il difetto di non essere troppo familiare al pubblico americano. Si vede che Bruce ama molto questa canzone e fa di tutto per farla piacere, ma non aiuta molto invitare il pubblico a rendere omaggio alla “heart-stopping, earth-shaking..E Street Band“, proprio sull’unico brano che non fa parte del loro repertorio. Forse si potrebbe farla seguire da un brano più conosciuto alla base dei fans. In molti abbiamo pensato che nello slot di Reason, un vero gioiello d’esecuzione, potrebbero ruotare, sera dopo sera, i brani di Nebraska versione elettrica. Sarebbe come ascoltare un nuovo disco in diretta. E non ci starebbe male qualche outtake, magari in una veste nuova. Senza dubbio Bruce sa fare scelte giuste, ha sempre ben presente tutta la sua produzione musicale e spesso la tira fuori al momento opportuno. Attualmente la ESB costituisce per Springsteen una spalla di lusso, ma resta ancorata a determinati schemi e ad un determinato repertorio, sia pure di livello elevato. Sarebbe un’occasione sprecata, se questo tour venisse limitato nel suo potenziale da troppi vincoli e condizionamenti.
Sabato 6 ottobre – Oggi niente rincorsa al parterre e pomeriggio dedicato a Philadelphia. Visita alla Campana, i piccoli locali, gli shops coloratissimi di South Street, il fiume e lo skyline. Stasera abbiamo posti seduti dietro al palco, vicini, ottima visuale d’ insieme sia sui musicisti che sul pubblico.
Alle 8,23, leggermente piu’ tardi della sera precedente, si spengono le luci, ecco le note di Flying Trapeze. “Is there anyone alive out there?”e parte Night, inaspettatamente prima di Radio Nowhere. Mentre le note vibranti, potenti di Night si diffondono e riempiono il Wachovia, la gente tutto intorno sembra impazzita, si abbraccia, batte il cinque. Nessuno dubita che questa sarà una serata speciale, di quelle per cui va famosa Philly.
Sul palco sembrano indiavolati sin dalla prima nota, come se fosse stata soffiata la vita nelle spente figurine di ieri sera. E’ un effetto incredibile, ma è palpabile e si legge negli sguardi tutto intorno. Lo conferma anche lo sguardo di Bruce, quello sornione e soddisfatto delle giornate matte e speciali che ama regalarci di tanto in tanto, del tipo “aspettate e vedrete che vi combino stasera”. Tra pubblico ed artisti si scatena una tale carica di entusiasmo e reciprocità che continuerà per tutta la serata.
Prove it All Night è un pezzo ascoltato forse troppe volte, ma continuo a meravigliarmi per la carica di dinamite e la precisione d’esecuzione di questo brano. Gipsy Biker e Magic sono perfette, la voce di Bruce manda brividi lungo la schiena ad ogni sottolineatura. I brividi continuano sull’armonica di Reason To Believe. E’ una esecuzione mozzafiato, rabbiosa, furiosa, impeccabile e sentita. Finalmente Bruce si concede un sorriso di soddisfazione. Tocca a Ties that Bind ribadire il forte legame con Philadelphia. Come con Candy’s Room la sera prima, la lega direttamente a She’s the One, con più efficacia stavolta. Gli scambi di chitarra con Steve ed il finale all’ armonica sono furibondi, come per scaricare tutta la rabbia. Bruce s’informa come stanno andando i Phillies, e chiede un “cheer” per la squadra, che in quel momento è sotto di 2 games. Poi inizia il suo rap sullo stato dell’Unione e Living’ Future, che continua ad essere meno coinvolgente del disco. E’ l’unico momento in cui Bruce questa sera viene a fare la passerella dietro al palco, mentre la notte precedente era andato avanti e indietro parecchie volte.
Dopo Promised Land, Bruce chiama: “Pats…” e tutti si mettono a sedere. L’intro di Town Called Heartbreak inizia con l’organo di Federici, Patti acustica, Bruce elettrico. Non è male full band, e Bruce si dà da fare per dare maggior forza possibile al brano, ma la gente sembra apprezzare solamente il fatto che è breve. Per fortuna, la brevità del brano non incoraggia la solita corsa al bagno. Sono tutti ai loro posti quando Roy fa partire quelle inequivocabili note al piano: “Spanish Johnny drove in..”. Si sente l’arena trattenere il respiro. Non è solo per la rarità della canzone, è per quel che rappresenta nella storia musicale di Bruce. E’ per come lui ce la offre stanotte, una mano tesa per continuare ancora insieme il cammino e perché è una canzone bellissima. Non importa se lui deve ricorrere spesso al teleprompter per ricordarsi le parole. La voce di Bruce scatena una valanga irrefrenabile di emozioni, va a toccare le corde più profonde del cuore e dell’ anima. Sale, sale sempre più in alto, e ci fa salire con lui. Grazie Bruce.
Senza dare il tempo di riaverci scatena Cadillach Ranch. Un uno/due sicuramente più adatto di Brilliant Disguise e My Hometown per mantenere elevato il ritmo. La gente sembra impazzita, risponde con entusiasmo crescente. Sul palco, prima Bruce chiama Steve, sorpreso ma prontissimo, poi Nils che urla “what time is it” prima di far partire la chitarra. Bruce fa continuare la Band per incitare il pubblico ad un ennesimo lungo coro. Spinge avanti Susie col violino, “let’s go country”, poi si scatena nel suo assolo di chitarra “let’s rock’n’roll”. E’ una specie di apoteosi collettiva, tutti urlano, tutti ballano, tutti cantano e sorridono felici. Si va decisamente elettrici stasera. Dopo tutto questo scatenamento e tanta esultanza, Bruce ci fa precipitare direttamente nella desolazione del campo di battaglia con Devil’s Arcade, “the beat of your heart, the beat of your heart”. Forse Bruce è davvero un po’ Magic, se riesce a farci immedesimare in situazioni tanto diverse nel breve scambio di poche note.
La Band pasticcia un poco su The Rising, Max manca il beat ma gli altri continuano il coro, con un effetto un po’ slegato. Bruce non perde l’ occasione di farlo notare. “Questo deve essere nuovo” ironizza. Ma si prende anche in giro da solo, subito dopo, quando sbaglia le parole su Girls: “le ho quasi imparate”. Ormai il tono è totalmente divertito e rilassato, sul palco si concedono qualche disattenzione, ma nessuno se ne preoccupa, questa è una serata di r’n’r tra amici.
Thundercrack viene riproposta in nome dei vecchi tempi, quando si suonava in locali molto piccoli per far baldoria. Si fa baldoria anche adesso, tutti cantano e si divertono, anche la Band, che trova spazio per esibirsi in lunghi assolo. Bruce, in pausa, deve avere urtato la sua chitarra, che produce un rumore strano. Non avendo capito subito che era stato lui, si gira a chiedere che cosa è stato ed i fidi compagni di tante battaglie alzano tutti quanti la manina.
Dancing in The Dark, nei bis è più efficace e travolgente di Waitin’. American Land è energica e potente, con il metronomo Max a imporre un ritmo forsennato, con Danny e Roy alla fisarmonica versione Irish. Balla tutta l’arena. Balla anche mamma Adele a lato del palco. Per tutta la sera ha partecipato, applaudito, cantato e ballato insieme a tutti quanti. Segue incessantemente con gli occhi suo figlio, lo cerca sul palco quando si scatena nel rock, guarda lo schermo per coglierne ogni espressione durante i momenti più intensi.
Mi capita, qualche volta, di chiedermi parchè continuo a correre appresso a Bruce sera dopo sera, anno dopo anno. In serate come questa, trovo l’ ovvia risposta: “Per sentirmi esattamente come mi sento in questo momento”.
Keep on rockin’