Introduzione al volume. Traduzione a cura di Francesco Magni.
Questo libro è per tutti quei fans di Bruce Springsteen and The E Street Band che volevano sapere cosa significasse avere completo accesso dietro le quinte durante il Darkness on the edge of town Tour, cosa volesse dire essere parte di un ministero viaggiante.
Nel 1978 c’era chi pensava che Bruce fosse il salvatore del rock’n’roll e c’era chi invece non lo considera quasi per niente. Bruce chi? Ma per i fans Bruce Springsteen era un rocker santo, un predicatore che poteva creare un fervore nei suoi fedeli che li avrebbe portati a spargere per il mondo la voce che lui era il Messia. I suoi spettacoli erano più di un biglietto per un concerto, i suoi dischi più di musica da party. Bruce Springsteen and the E Stree Band erano una religione. La gente parlava di Bruce come se avesse salvato le loro anime, come se avesse dato uno scopo alla loro vita. I dischi e, molto più importante, gli shows sembravano far scattare una molla sulla propria personalità. Qualcosa su se stessi che tutti conoscevano già ma che non avevano mai realizzato. Sembrava un senso di sconfitta condiviso, un’incapacità ad adattarsi ad un preconcetto stile di vita, un’inquietudine. I fans dicevano ai non-credenti che dovevano andare ad un concerto e si sarebbero convertiti. Tutto quello che dovevano fare era procurarsi un biglietto per uno show.
Che cosa era per Bruce? Per lui la vita era scrivere, fare dischi e andare in tour. Era un’esperienza di vita o di morte. Ogni volta che andava sul palco era un’opportunità per connettersi. Ne aveva bisogno. Questo non significa che si sentiva a suo agio mentre cantava. Infatti, ne era impaurito, ma una volta sul palco era chiaro che quello era il posto dove doveva stare ed era quello che doveva fare.
L’inizio del Darkness on the edge of town Tour venne previsto per piccoli teatri. I concerti fecero il tutto esaurito su entrambe le coste, ma nel centro degli States poche persone lo avevano mai sentito nominare. Nel 1978 le stazioni radiofoniche trasmettevano la musica di artisti come i Fleetwood Mac, Jackson Browne e The Eagles. A causa della sua attitudine nel registrare canzoni troppo lunghe, ottenne poco supporto dalle radio. Teatri che contavan
o fino a tremila posti, vendettero solo trenta posti. La cosa migliore nel partecipare ai suoi concerti era che Bruce la band tiravano fuori la stessa energia per poche persone così come davanti a una platea di diverse migliaia. Per la E Street Band era tutta esperienza che si facevano insieme sul palco. Erano orgogliosi di fare parte di quella musica, di suonare per qualcuno che lavorava così accanitamente perchè credeva nello spirito del rock’n’roll. Con la loro musica la band sapeva che un giorno il pubblico sarebbe potuto essere da stadio, ma sarebbero andati avanti anche se non fosse mai successo. Erano “on the road” per stare vicino a quello che credevano, per divulgare la parola e per convertire quelli che non avevano apprezzato la musica nei loro precedenti concerti. In questo modo Bruce e la band trascesero ogni singolo giorno di vita.
In ogni concerto Bruce spingeva la Band ad andare oltre, a superarsi. Dopo quasi ogni show si incontrava con loro nel backstage e discutevano su cosa fosse andato bene e cosa invece no. Bruce aveva la registrazione di molte serate per verificare come poteva migliorare e, mentre il gruppo avrebbe viaggiato verso la successiva città, Bruce avrebbe ascoltato il concerto durante tutto il tragitto fino almeno alle 6 del mattino. Si registravano all’hotel, dormivano un po’, poi verso la una e mezzo del pomeriggio si spostavano nel palazzetto. Bruce e la band avrebbero cercato nuove idee per suonare alcune canzoni di quella serata. Non ci sono mai stati due concerti uguali. Provava sempre nuovi approcci, mentre teneva certi movimenti base e certe entrate invariati.
Bruce voleva che chiunque in sala potesse vedere e sentire il concerto e non preoccuparsi di nient’altro. Si comportava come se allo show doveva venire la sua famiglia per la prima volta. Durante il sound check, mentre la band suonava sul palco, Bruce camminava per tutta la sala, prendeva posto su diverse sedie, ascoltava il suono e controllava cosa avrebbe visto il possessore del biglietto. Se pensava che una certa posizione non era abbastanza buona, impediva al promoter di vendere quei posti. I posti dietro il palco non venivano mai venduti.
I sound check duravano circa tre ore. Fisicamente il lavoro di Max sembrava il più duro. Visto che i concerti erano anche loro di circa tre ore, significava che doveva suonare la batteria per sei ore al giorno. Ma non si stancava. Voleva essere il migliore, non solo per se stesso ma per Bruce.
Questo era un altro pregio di Bruce: riusciva ad ottenere dagli altri musicisti il meglio per la sua musica. Erano parte di qualcosa di vero, qualcosa che potevano rispettare, qualcosa che li sfidava e che gli dava un’immagine positiva dell’industria musicale, qualcosa di significativo. Bruce non era necessariamente il loro migliore amico; era chiaro che, nonostante fossero tutti fratelli, lui era ancora il “Boss”.
Era un po’ diverso con Steve. Se c’era qualcuno nella band che poteva o avrebbe potuto tenere testa a Bruce o semplicemente esprimere quello che pensava, era lui. Sapeva di avere una specie di fratellanza con Bruce che gli altri non avevano. Ma nonostante questo, spesso faceva attenzione come parlava con il “Boss”.
Sul bus Bruce aveva il suo spazio personale sui sedili in fondo. Guardava l’America passar via dai finestrini. Suona un po’ glamour, ma non lo era (Ndt: sul libro c’è infatti una foto che lo ritrae sul bus mentre osserva dai finestrini). Visto che il motore era in coda, c’era sempre un continuo rollio nonchè un noioso rumore di fondo. Gli altri membri della band dormivano in piccole cuccette a metà bus.
Nel backstage c’erano sempre due spogliatoi: uno grande con un sacco di mangiare per Bruce, e uno più piccolino per il resto della band. Poche persone entravano nello spogliatoio di Bruce senza essere invitati, compreso i membri della band. Avrebbero potuto, ma non lo fecero mai. Avevano paura di intromettersi nei suoi pensieri. Raramente Bruce andò nel loro spogliatoio prima dello show. Non c’erano preghiere di gruppo, urla o high-five. Andava nello spogliatoio della band più che altro per vedere cosa volevano indossare, specialmente Clarence. Bruce sapeva come voleva che suonassero e come dovevano apparire. Non avresti indossato niente che Bruce non avrebbe voluto farti indossare. Springsteen e la E Street Band suonavano e apparivano come un gruppo di singoli.
Circa venti minuti prima del concerto Bruce riceveva un avviso dal suo roadie. Spesso ascoltava qualche cassetta di classici di R&B che si portava appresso in una piccola valigetta. Provava quello che avrebbe detto sul palco e si ripassava qualche movimento davanti allo specchio. Iniziava a diventare vivo. La band entrava per prima, poi una luce avrebbe illuminato Bruce. Sembrava che arrivasse dall’oscurità per condividere la sua redenzione da un dolore personale tramite il rock’n’roll.
Mentre il Tour andava avanti durante l’autunno del 1978, c’era il problema se suonare o meno in palazzetti più capienti. Bruce avrebbe suonato al Madison Square Garden? Era il fiore all’occhiello di ogni rock star, ma Bruce non ne voleva sapere. Gli piaceva suonare in sale che al massimo potev ano contenere 2500 persone, dove poteva saltare dal palco in mezzo alla gente. Voleva rimanere in contatto con le sue radici. Decidere di suonare al Madison era qualcosa che lo torturò a lungo, ma finalmente si decise a farlo. Bruce venne accompagnato al concerto da un suo amico di lunga data del New Jersey. Non avrebbe mai usato una limousine. Voleva rimanere semplice.