di Andrea Boido.
C’è una continuità evidente nelle liriche di Bruce Springsteen. Provate a leggere tutto d’un fiato un libro che raccolga i suoi testi, dall’inizio alla fine. Al termine avrete la netta sensazione di aver appena letto un romanzo biografico, piuttosto che una semplice raccolta di liriche.
C’è un filo evolutivo che lega i diversi personaggi delle sue canzoni, un filo che rassomiglia molto a quello che percorre gli episodi delle esistenze di molti di noi. Ma questo lo sapete già tutti quanti, credo.
Sono molti gli avvenimenti nella vita di una persona; alcuni sono destinati ad essere dimenticati, altri sono delle tappe più o meno importanti, altri ancora sono delle svolte.
Quella che viene raccontata in Backstreets è appunto una svolta, una di quelle decisive con cui tutti, prima o poi abbiamo fatto (o faremo) i conti: è la perdita dell’innocenza, la fine della giovinezza, l’entrata nel mondo reale.
Backstreets è il momento in cui i sogni perdono concretezza e diventano illusioni, ed è Vangelo per chiunque abbia vissuto il passaggio alla maturità con la delicatezza e la gradualità di un elastico che si spezza.
Sarebbe comunque folle analizzare Backstreets senza prendere in considerazione quella Sad Eyes (che non ha nulla a che fare con l’omonimo pezzo presente su Tracks) che ne è non solo il naturale prolungamento, ma anche una continua rielaborazione del tema trattato, una sorta di punto di vista in costante movimento ed evoluzione. Le varie splendide Sad Eyes del tour ’78 rappresentano un ponte tra il romanticismo eroico di Born to Run e quello più pratico (ed a volte disperato) di The River e degli album seguenti. Ma quella che forse è più vicina al sentimento da cui scaturì la stessa Backstreets la trovate sul bootleg Forced to Confess.
È il 25 marzo 1977 e la vita di Bruce è ad una svolta. Fine del tour, causa legale agli sgoccioli, un nuovo disco ad occupargli la mente. Soprattutto un modo diverso di guardare le stesse cose.
Il 25 marzo 1977 è la data che, simbolicamente, segna la fine del Bruce “wild and innocent”. Da quel giorno in poi non sarà più selvaggio, ma piuttosto rabbioso, a volte quasi cattivo, a volte semplicemente disilluso. E di sicuro non sarà più innocente.
Backstreets parla di un tradimento, ma il tradimento vero non è quello di Terry. Il tradimento vero è quello della crescita, della maturità. Tutta la canzone è pervasa da immagini cupe, visioni di morte (“…some hurt bad, some really dying…”); si ha la sensazione di essere alla fine di qualcosa di più che una semplice storia d’amore.
D’altra parte ciò di cui il protagonista pare soffrire la perdita non tanto è la ragazza, ma piuttosto quanto lei simboleggiava. In fondo di Terry, anche dopo aver ascoltato il pezzo mille volte, non sappiamo praticamente nulla; conosciamo solo ciò che lei ed il protagonista facevano assieme. Si sente che è venuto a mancare qualcosa, non qualcuno, e si capisce, comunque, che Terry, chiunque ella fosse, era l’ultima ancora di salvezza, l’ultima impossibile speranza di rimanere per sempre giovane.
Ma la giovinezza dipinta in Backstreets, ad ogni modo, ha le ore contate, Terry o non Terry non ha nulla di sfrontato, né di vigoroso ed assomiglia più che altro ad un animale braccato. L’orgogliosa e giocosa irruenza di Growin’ Up sembra lontana milioni di miglia; ora essere giovani si traduce nel nascondersi nelle strade secondarie. Nascondersi dal mondo, dalla realtà, dal dover crescere. Nascondersi e sperare che tutti quanti si scordino di te e ti lascino in pace.
Il protagonista cerca di costruirsi un’oasi dove nessuno lo possa trovare, una bolla di sapone in cui, per vivere, ha bisogno solo di qualcuno a cui aggrapparsi e di sogni di cui nutrirsi, ma quel qualcuno un bel giorno se ne va, la bolla esplode e lui rimane da solo a chiedersi perché. L’ultima disperata barriera a difesa dell’innocenza è saltata, abbattuta dall’interno.
Fanno da scheletro alla canzone immagini di forte immobilità, che in fin dei conti dipingono un atteggiamento tipico di chi tenta di nascondersi, ovvero il rimanere fermi, bloccati in un’unica posizione, senza neanche respirare, per paura di farsi scoprire. O, se volete, anche il modo di fare di chi ha paura che ogni movimento possa far precipitare una situazione già pericolosamente in bilico sull’orlo di un precipizio: lui e Terry stanno abbracciati nella macchina, aspettando che suonino le campane, restano sdraiati nell’oscurità e nella stessa oscurità ballano lentamente. E nella Sad eyes sopraccitata c’è un’immagine favolosa: una macchina, abbandonata in un campo, di cui sono stati rubate tutte le parti esterne; sono rimasti solamente gli interni, anzi forse solo i backseats dove lui e Terry vanno a far l’amore.
Ora, non so voi, ma io riesco ad immaginare davvero poche cose più statiche ed immobili di una macchina di cui rimangono solo gli interni. Quella macchina è forse l’immagine più potente di una giovinezza a cui vengono regalati dei tempi supplementari e di un processo di crescita che si cerca in tutti i modi di arrestare. La macchina è movimento, come la vita. Quella particolare macchina, invece, non ha mezza possibilità di percorrere neanche un metro. La vita è bloccata, l’innocenza per ora è salva, ma non per sempre.
Non basta neanche il giuramento di vivere “per sempre amici nelle strade secondarie fino alla fine”, un giuramento che pare avere il compito preciso di fissare il tempo e lo spazio. Terry lo spezza, cresce, cambia e se ne va. Tradisce, ma la colpa non è sua, è della vita, e questo il protagonista non vuole ammetterlo, ma lo sa sin troppo bene. In Sad Eyes c’è la sequenza finale, ripetuta ossessivamente: “then she kissed me, and then she promised and then she lied…” ed il soggetto forse non è la ragazza, ma proprio quell’esistenza che nell’età adulta tradisce spietatamente tutto quanto aveva promesso in gioventù.
La frase chiave di Backstreets la troviamo alla fine, quasi l’autore le avesse girato attorno per tutto il pezzo e solo giunto al termine avesse avuto il coraggio di ammetterla anche a sé stesso:
E dopo tutto questo tempo ci siamo accorti
di essere proprio come tutti gli altri…
Cioè come gli adulti, come i nostri genitori, come quel mondo fatto di piccole vittorie e cocenti sconfitte, che quando si è giovani si crede di poter facilmente evitare. E ci vorrà un po’ per capire che si può essere eroi anche in quel mondo, eroi diversi da quelli dei film, quelli che “pensavamo di dover diventare”. Eroi come i propri genitori, che forse non vincono mai e passano la vita a cercare di limitare i danni.
Questa consapevolezza arriverà solo con la piena maturità, inizierà ad essere tangibile in The River e crescerà nei lavori seguenti. Per ora c’è solo il dolore per quello che si è perso, ma già alla fine del tour del ’77 c’è anche la presa di coscienza che quella perdita è inevitabile, nonché necessaria. Infatti nell’ultima Sad Eyes del Bruce Wild and Innocent troviamo la redenzione totale e la chiusura definitiva con quel mondo di sogni quasi tangibili che è la giovinezza:
…e pregavo che Dio
mandasse degli angeli
e spazzasse questa fottuta città
giù nel mare…
L’intera fottuta città, backstreets comprese. Cancellare tutte le illusioni e ricominciare da capo, sapendo che d’ora in poi si fa maledettamente sul serio.
Backstreets è perciò una svolta di enorme importanza nella storia che lega i personaggi di Bruce, e la sua stessa posizione all’interno di Born to Run lo suggerisce: chiude la prima facciata e spezza il disco in due. La seconda facciata è ancora piena di sogni ed eroismo, ma anche di morte; parole come “uccidere”, “assassinio”, “morte” compaiono sette volte nell’esiguo spazio di quattro canzoni, senza contare che Meeting Across The River nella tematica e nello svolgimento sembra un pezzo rubato a Nebraska.
Certo, quella del secondo lato di Born to run è una morte ben diversa da quella concreta, assoluta e disperata di Nebraska, è quasi idealizzata, mitica, senz’altro eroica, ma rappresenta pur sempre la fine di qualcosa. Forse non proprio della vita, ma senz’altro di un certo modo di vedere la vita stessa.
Da Darkness in poi comincerà un lungo viaggio, la notte non sarà più un foglio bianco dove scrivere qualcosa di grandioso, ma, più semplicemente, evocherà il buio, un buio per nulla confortante il più delle volte. Darkness è l’inizio di un tunnel di cui, ad un certo punto (Nebraska) non si vedrà più nell’entrata (la rabbia vigorosa e positiva di Badlands) né la fine (la “beautiful reward”), ma solo la terribile oscurità e la solitudine che si porta dietro.
Tutto quanto c’era prima di quel tunnel sono splendidi ricordi che a volte fanno un po’ male.
Le backstreets esistono ancora, forse, ma sono un rifugio, non più una casa.
La casa è alla fine del tunnel.