di Anna Tammi.
“Is a dream a lie if it don’t come true” (Bruce Springsteen, The River)
Avere l’opportunità di ascoltare la narrazione direttamente da Bruce Springsteen, in un ambiente intimo e appropriato come un teatro di Broadway, è davvero il sogno che diventa realtà.
Dopo aver letto la sua autobiografia Chapter and Verse come una lunga infinita ballata che sottolinea le tappe della sua esistenza, da sconosciuto e velleitario sognatore del New Jersey a rockstar sui palcoscenici di tutto il mondo.
Con in tasca un biglietto per il Walter Kerr Theatre il 7 dicembre, sono arrivata a New York un paio di giorni in anticipo, il tempo di organizzarmi e respirare la magica atmosfera natalizia della Grande Mela.
Il 6 Dicembre mi sono recata a Ground Zero. Quel paesaggio familiare cancellato per sempre, mi procura ancora un tuffo al cuore, nonostante la nuova Tower, con l’ annesso 2001 Memorial, lo abbia ormai degnamente sostituito nello skyline di Manhattan.
Verso le 16, l’aria e’ diventata pungente ed ho pensato di ritirarmi ed organizzarmi per la sera. Sapevo già che nessun programma mi sarebbe sembrato soddisfacente o appropriato. Senza nemmeno ripassare in hotel, mi sono trovata davanti al Teatro.
Come da rituale ormai collaudato, ho fatto visita al botteghino, nella improbabile ricerca di un posto di balconata. C’erano solo pochi biglietti da 500 a 850 dollari e sono rimasta fuori, ad aspettare l’arrivo di Bruce, senza nemmeno tentare di avvicinarlo, tanto per restare in atmosfera. Ma dopo che Bruce è entrato, il botteghino, l’unico posto caldo nei dintorni, ha esercitato su di me una irresistibile attrazione.
Dopo una trattativa degna di miglior causa e grazie a molta fortuna, ho avuto un posto a sedere in penultima fila, proprio all’ultimo minuto, giusto il tempo di passare la security e mettermi seduta, senza cena e semi assiderata. Tutto intorno solo sguardi raggianti e ci siamo detti l’un l’altro: “Who Care, it’s Bruce!”
Bruce entra solo e inizia a raccontare anzi, a recitare la sua storia, sulle note di Grownin Up, come nei capitoli di Chapter and Verse.
Si intuisce subito che è uno show preparato con cura meticolosa, che è il risultato di un lungo, accurato lavoro. Bruce suona bene anche il piano, calcola ogni movimento e intonazione della voce. L’acustica è incredibile, si sentono distintamente parole e suoni anche quando non usa il microfono.
E’ un vero e proprio recital in cui Springsteen non si limita a racconti per accompagnare le canzoni ma recita, nel vero senso del termine, con impegno, diligenza e mestiere, la sua parte d’attore.
In questo ruolo, giganteggia letteralmente sul palco, si muove con disinvoltura, si avvicina ed allontana sapientemente dal microfono, comunica esperienze ed emozioni, perfettamente a suo agio, più distaccato e compito che durante i concerti allo stadio, ma allo stesso tempo in perfetta sintonia con un pubblico che è lì solo per lui, che conosce a memoria quella musica e, quasi sicuramente, anche buona parte del libro. Pubblico tanto rispettoso quanto caloroso e preparato che applaude, ride e si commuove sempre a tono. Fatica a trattenersi su Tenth Avenue ed esplode all’imbeccata di Bruce per la Legendary “E Street Band”.
In questa sequenza, spogliate fino all’ essenziale, quelle canzoni concentrano tutta l’intensità e la potenza evocativa di Springsteen con un effetto dirompente.
Born In The Usa diventa un nero blues del Bayou, mentre il siparietto tra Bruce e Patti, tante volte appena tollerato negli stadi, diventa un momento di tenera intimità.
Si ride e si piange. A dire il vero più pianti che risate… non si dovrebbe piangere su Thunder Road sentita centinaia di volte, infiammarsi per Promise Land, o peggio ancora, commuoversi per Dancing in The Dark su cui abbiamo saltato e ballato fino allo sfinimento.
A parte Patti nelle due canzoni, solo Kevin sale brevi attimi sul palco per passare a Bruce le chitarre.
Esco scossa ed emozionata, non riesco nemmeno ad aspettare l’uscita di Bruce, voglio rimanere il più a lungo possibile in compagnia delle mie emozioni.
Per la sera del 7 Dicembre ho già il biglietto per cui arrivo leggermente meno trafelata. Fila 10, più vicino al palco ma molto laterale, c’è poca differenza dalla penultima fila di ieri sera ma più centrale.
Davvero la disposizione del teatro è fantastica, visuale libera da qualsiasi punto, come essere sotto palco senza interferenze. E’ perfetto per chi vuole vedere e ascoltare Bruce da vicino senza l’esigenza di farsi vedere da Lui.
Stasera la voce di Springsteen è forse anche più a posto e più bella di ieri sera.
Il canovaccio dello show è sempre lo stesso ma è impossibile per Bruce essere uguale tutte le sere. Ovvio, la struttura non cambia, ma l’ atmosfera intorno, la sensibilità dell’autore, risentono del clima intorno, ogni pubblico è diverso, ogni giorno e’ diverso.
Questa sera il pubblico è più silenzioso, quasi timoroso di disturbare o di intervenire al momento sbagliato. L’ impressione è che se ne renda conto anche Springsteen che, se da una parte riesce ad essere anche più concentrato e preciso nelle esecuzioni, a tratti sembra avere un’espressione leggermente perplessa… arrivati a Tenth Avenue sbotta con un garbato “express yourself” che non era stato necessario la sera prima. Con la inevitabile conseguenza di dare il via alla tensione repressa e dover poi, sempre con molto garbo e irrefrenabile risata, ricordare che “quello è il suo show”.
Difficile fare una graduatoria delle canzoni, che secondo me si inseriscono perfettamente nel canovaccio della spettacolo. Quelle che mi hanno colpito maggiormente per veste musicale e bellezza di esecuzione, non tutte la stessa sera, sono la devastante malinconia di Father’s House, la tremenda forza evocativa di Promise Land, la commossa commemorazione e l’intenso omaggio ai compagni di tante avventure in Tenth Avenue. Questa è l’unica concessione all’entusiasmo del pubblico, che da lì in avanti fatica a contenersi durante il tremendo crescendo finale con Land of Hope and Dream, esplosione di emozioni e di energia che sfocia in una Born To Run nostalgica, visionaria e rabbiosa.
Più abbassa la voce, piu’ scuote e arriva nel profondo. In quelle due ore Springsteen riesce a concentrare, tra chiacchiere e canzoni, tutta la potenza e l’intensità del suo messaggio: mai smettere di sognare, mai arrendersi alle proprie convinzioni, mai rinunciare ai propri valori.
E’ questo il suo Magic Trick, il Trucco Magico di Bruce Springsteen a Broadway.