di Andrea Volpin.
Facciamo un salto nell’Annus horribilis della storia di Bruce per raccontare la storia di un 45 giri dai contorni interessanti. Vuoi per la sua storia un po’ tortuosa, vuoi per le sue stranezze, questo disco rappresenta un momento particolare della carriera di Bruce Springsteen.
Innanzi tutto va detto che il disco non è di Bruce Springsteen che, per la prima volta, smette i panni di cantante e veste quelli di produttore. Siamo nel novembre del 1976 e mentre Bruce è costretto a mordere il freno per via delle beghe legali, di cui tutti conosciamo i risvolti, parte un progetto che vedrà il ritorno alle scene di una delle star della black music più amate dallo stesso Bruce. La star in questione è Ronnie Spector, ex membro del gruppo The Ronettes diventate famose negli anni ’60 con i singoli Be My Baby e Baby I Love You. Ambasciatrici in gonnella della musica doo-wop e rhythm and blues, tanto cara a Bruce e Steve Van Zandt, Ronnie, divenne poi moglie del famosissimo produttore Phil Spector, l’inventore del Wall Of Sound, altro mito di Bruce e soci.
Purtroppo però, dopo il successo iniziale, l’interesse verso quel genere musicale cessò e, nel 1967, le Ronnettes cessarono di esistere. All’inizio del nuovo decennio Phil Spector provò a rilanciare il genere mettendo insieme due singoli che la moglie avrebbe incisi nel 1971 con una nuova formazione; ma il successo sperato non arrivò. Nel frattempo la paranoia del marito rovinò anche il matrimonio con Ronnie che chiese e ottenne il divorzio nel 1974 mantenendo il cognome del marito dopo una lunga battaglia legale. Dopo anni di silenzio e qualche problemino con l’alcool nel 1976, la Spector, si presentò alla CBS con l’intenzione di candidarsi a qualche progetto a cui servisse un’interprete. In quel periodo in studio c’era Billy Joel che stava registrando il suo nuovo album dal titolo Turnstiles. Durante una session, Joel, avrebbe dovuto registrare una canzone dal titolo Say Goodbye To Hollywood mentre Bruce e Steve vennero a sapere che Ronnie era in cerca di un lavoro. I due convinsero Joel a cedere la canzone alla cantante che la registrò proprio con l’ausilio della E-Street Band al gran completo. La canzone piacque talmente tanto da convincere la Columbia a produrne un 45 giri nel cui lato b avrebbe figurato un’altra canzone scritta da Van Zandt e prodotta da Bruce: Baby Please Don’t Go.
Il successivo gennaio 1977 il disco uscì sul mercato incontrando critiche positive; il singolo Say Goodbye to Hollywood suonava come se fosse una canzone del periodo d’oro delle Ronettes con gli arrangiamenti moderni della E-Street Band. Ne uscì una canzone dove Ronnie sembrò quasi fare la cover di se stessa. Imperiale il sax di Clarence Clemons che domina il layout del singolo mentre il resto della band si sforza di stare dietro al doo-wop dell’artista ritrovata.
L’altra particolarità del disco fu la composizione della copertina che ritraeva una sorridente Ronnie Spector accerchiata dalla E-Street Band mentre Springsteen se ne stava seduto ai suoi piedi. Nelle note di produzione il nome di Bruce non compare per evidenti problemi mentre il suo amico Miami Steve Van Zandt siglava la produzione. È la prima volta che la CBS pubblica un disco della E-Street Band senza il nome di Bruce Springsteen; a parte il mitico quintuplo, e i greatest hits, sarà anche l’ultima.
Ancora recentemente (2013) in un’intervista rilasciata ad un giornale di settore, Ronnie ha sottolineato l’importanza di quella produzione, ringraziando Springsteen, Van Zandt e Joel per aver compiuto un gesto che le salvò la carriera.
Qualche tempo dopo, siamo nel biennio 1981-82, Bruce e Steve ‘salveranno’ dal baratro un altro loro idolo d’infanzia: Gary US Bonds collaborando alla stesura dei testi e alla produzione di due suoi dischi. Dedication e il successivo On The Line che riportarono il cantante americano in auge dopo anni di silenzio.
Potere della musica e potere della magia del Circus.
Ottimo articolo 🙂