Verrà pubblicato il prossimo 2 luglio dall’editore Pagine in Movimento il saggio“Da Randolph Street al Nebraska – Il Mio viaggio con Bruce Springsteen“. Cogliamo l’occasione attraverso qualche domanda per conoscere meglio l’autore del volume.
Raccontaci in poche parole chi è Andrea Volpin?
Ho trentotto anni, abito in provincia di Pavia, sono sposato da un anno e faccio l’impiegato. Dal 2014 collaboro con un settimanale del territorio e curo una rubrica che parla di musica. Sono da sempre appassionato di musica (rock, folk, country, prog, psichedelica soprattutto) e da quasi vent’anni seguo, nello specifico, Bruce Springsteen. Inoltre ho un debole per la buona tavola, per la buona compagnia e per il sigaro toscano.
Quando e come è nata l’idea del libro dedicato a Bruce?
L’idea di scrivere un libro su Bruce Springsteen è nata circa un anno fa. All’inizio avrei voluto scrivere un romanzo ispirato dalle sue canzoni, poi mi sono reso conto che, dietro ai suoi testi, si celava molto più di un romanzo bensì il racconto dell’uomo. Inoltre sentivo la necessità di trasferire su carta tutti i miei annosi ragionamenti sviluppati dalla studio dei testi. Personalmente non credo di aver scritto un qualcosa di nuovo rispetto a quanto già presente sul mercato; il mio è un viaggio personale e soggettivo attraverso l’evoluzione della poetica del Boss in quello che ritengo il suo periodo migliore. Comunque, alla base di tutto, ci sta la passione; per il personaggio e per i suoi temi. (non di meno la sua musica e quella della band).
Qual’è il tuo rapporto con il mondo springsteeniano, che tipo di fan sei?
Mi piace relazionarmi con l’universo Springsteen sotto tutte le forme. Dalla discussione ‘umana’ a quella sui social network. Curo un blog che parla di un po’ di tutto ma soprattutto di lui, infine leggo molti testi che lo riguardano e ascolto tanta sua musica e di altri artisti ‘influenzati’. Diciamo però che mi piace essere un passo prima del fanatismo, ovvero amare un personaggio mantenendo comunque un occhio critico che mi permette di vedere tutti gli aspetti della sua personalità artistica e umana.
Album imprescindibile e concerto di cui serbi il miglior ricordo?
Più che un album in particolare direi un periodo; quello che va dal 1975 al 1982. Se dovessi scegliere per forza un disco, anche se la trovo davvero un’impresa ardua, direi Darkness On The Edge Of Town per i suoi profondi contenuti autobiografici legati alla situazione del momento storico. Per quanto riguarda il concerto, potrei dire Milano 2008 perché fu il primo, infatti è rimasto nel mio cuore, ma credo che Roma 2013 sia stato qualcosa di indimenticabile.
Due show a Milano, ci sarai? Secondo te perché S. Siro ha questo fascino?
Sarò a Milano il 3 luglio con mia moglie e due amici e il 5 luglio con gli amici dell’infanzia. Milano ha un fascino particolare che riporta la mente a quel 21 giugno 1985. Io all’epoca non c’ero ma nei successivi ho sempre percepito quel senso di forte legame che univa il Boss a San Siro e alla sua gente. Forse per la conformazione del ‘teatro’ o forse per la forte influenza del pubblico e, credo, che lo show del 2013 l’abbia testimoniato.