di Vittorio Pasquali
Forse quanto mi appresto a scrivere potrà sembrare incoerente con quanto da me scritto nel recente passato, però insomma, adesso mi sono confrontato in prima persona con questo cosiddetto “River Tour” in salsa europea e quindi ho nuovi elementi per giudicare.
E dico “mah!”. Sarà che ne ho visti troppi. Boh!? O forse che un concerto in pieno sole manca di atmosfera. Bah…
Aggiungo pure che il mio giudizio potrebbe essere influenzato dalle condizioni della mia schiena, che essendo stata discretamente dolorante per l’occasione non mi ha certo messo nelle migliori condizioni per godere della performance di Bruce: però…
Mah, e ancora MAH!
Potrei prendermela con il nostro perché, mentre a Dublino ha aperto con “Incident on 57th Street” solo piano e poi a Coventry avrebbe aperto con “For You” e a Londra con “Does This Bus Stop at 82nd Street”, a Glasgow apre con “Waiting on a Sunny Day”: roba da girare i tacchi e lasciare subito lo stadio per protesta.
Invece, vi dirò, la cosa non mi era nemmeno dispiaciuta: erano le 18.45, c’era un sole bestiale e ci stava quasi bene, era un’idea simpatica, sapeva di scelta improvvisata e poi dentro di me pensavo “Alé, dai che per lo meno ce la siamo levata subito dalle palle!”.
La ragazzina tirata su per l’occasione è assolutamente convinta, ci crede, è nella parte, è tanto bellina: peccato che sia stonata come la Campana della Libertà conservata a Philadelfia, che non a caso è anche rotta: il pezzo che le esce meglio è “Come on, E Street Band!!!”.
Poi attacca con un set di roba abbastanza usuale (“Spirit in the Night”, “My Love Will Not Let You Down”) e fa il solito accenno monco di “The River” (“The Ties That Bind”, “Sherry Darling”, “Two Hearts”).
Poi comincia lo strazio delle richieste, che il cielo strafulmini tutti questi cacacazzi e i loro cartelli con richieste ovvie (scusate, oggi sto cattivo…).
“Rosalita (Come Out Tonight)”
Dico io, si può fare “Rosalita” come settima canzone? No, dai, non si può. Era successo pure un’altra volta, a Napoli 2013, e non era stato un concerto memorabile: forse non a caso, “Rosalita” a inizio concerto rende già l’idea di scaletta a membro di segugio e mi indispone.
Tanto che anche la successiva “4th of July, Asbury Park (Sandy)” (oh, Sandy eh, mica noccioline) mi sembra un po’ buttata là, forse pure perché suonata su richiesta dell’ennesimo cartello (“for the man who had it as his wedding song”: ma chissenefrega, dico io!).
Ripeto, sarò di pessimo umore ma a me ‘sti cartelli mi hanno sfinito, soprattutto quelli con la motivazione aggiunta: “Fammi questa perché è stata la mia canzone di nozze”, “Fammi quest’altra perché ci ho dato il primo bacio”, “Fammi quest’altra ancora perché piace a mia moglie”… Ma saranno anche cazzacci vostri! E fategli fa’ quello che vuole a quest’uomo, no??? E invece no, il problema è precisamente che lui non lo sa mica più cosa vuole fare, e allora piglia i cartelli ed esegue felice.
Seguono “Hungry Heart” e “Out in the Street”: e ci voleva il River Tour per farci ascoltare queste due rarità, e vabbé.
Intanto ho da un po’ notato un cartello con una richiesta che mi ha gettato nel più nero sconforto e ha suscitato in me un profondo pessimismo sulle sorti dell’umanità: è molto ben fatto, elaborato, pieno di colori, si vede che l’autore ci ha perso almeno una giornata a farlo, è davvero notevole.
Peccato che ci sia scritto “WORKING ON A DREAM”.
Ora, dico io, ma è una provocazione? Volete vedere a che punto possa arrivare lo stato di evidente confusione mentale in cui versa ormai il povero Bruce? Ma vi pare bello infierire così? Qui stiamo a metà fra la circonvenzione di incapace e l’esperimento su cavia di laboratorio con l’aggravante della crudeltà, suvvia!
Ma ecco che il Boss va proprio da quella parte e prende un tot di cartelli.
Oddio no. No, ti prego. Dai, no, non è possibile….
Infatti no, non è possibile: sospiro di sollievo, il bellissimo manufatto inneggiante a una delle più solenni cagate mai partorite dalla mente del mio amato rocker del New Jersey è ancora al suo posto a far bella mostra del suo orrido contenuto.
Bruce ne mostra con aria soddisfatta un altro, fatto molto più alla buona, con scritto… Vediamo…
Oh, no. “LONESOME DAY”.
Già la fa spesso di suo, c’era pure bisogno di chiedergliela? Non gli sarà parso vero di avere pure una giustificazione… Si materializza così l’incubo dell’accoppiata detta dagli esperti “della stramaledetta chitarra bianca”, dato che “Lonesome Day” e l’immancabile “The Rising” vengono suonate con quello strumento foriero di sciagura.
Un’altra briciola del disco che dà il nome al tour, “You Can Look (But You Better Not Touch)”, e meno male: poi parte una discreta sequenza, l’unica che sembra avere una qualche compattezza tematica: “Death to My Hometown” – “American Skin (41 Shots)” – “Murder Incorporated”; anche se la prima e la terza non sono certo fra le mie preferite danno almeno il senso di voler comunicare qualcosa, accomunate da temi di disagio sociale, violenza e ingiustizia. “American Skin (41 Shots)” poi è una canzone che adoro, è pure una tour premiére e Bruce la canta alla grande ma nel finale sento la mancanza di Tom Morello, Nils non è al suo meglio.
Dopo “I’m Going Down”, che sento sempre volentieri (anche se mi pare di ricordare che fosse l’ennesima richiesta) ecco “Johnny 99”.
Io non ne posso più di questa versione festaiola che distrae totalmente dal tema tragico del brano: sogno di risentirla suonata incazzata, scarna, voce e chitarra e poco altro, basta con questa pagliacciata… Poi sì, magari già che sto lì faccio pure io “Uuuh-Uuuhhh” come un imbecille ma, appunto, mi sento un imbecille. Bruce, perché mi fai sentire imbecille?
“The River” e “Point Blank”, ed è sempre un piacere, soprattutto con il bellissimo intro della seconda di Roy al piano.
Il mio nuovo amico David, arrivato con la moglie dal nord dell’Inghilterra, ripone ancora una volta il suo cartello mentre nella sua mente comincia a materializzarsi la delusione: anche stasera niente “Drive All Night”… Spero sia andato a Coventry!
Un tipo interessante, David: sulla sessantina, maestro di scuola con un sottile codino di capelli bianchi, mentre io mi preoccupavo che all’ingresso facessero storie per la mia piccola fotocamera compatta (a Phoenix me la bloccarono) lui riesce con noncuranza a far passare un cannone con uno zoom professionale che estrae una volta dentro davanti ai miei occhi esterrefatti e con cui riesce a fare ottime foto in barba a ogni controllo (siamo verso la decima fila, centrali).
Dopo la grande accoppiata “Darkness on the Edge of Town” e “The Promised Land”, che per me appartengono a quell’Olimpo di brani intoccabili che Bruce potrebbe suonare ogni sera senza stancarmi, arriva un’altra trista doppietta: oddio, trista, non è che “Working on the Highway” e “Darlington County” siano brutte, eh, è che le sta facendo sempre, e loro NON appartengono alla categoria di cui poco sopra: sono cioè brani che vanno molto bene se suonati ogni tanto ma, personalmente, suonati ogni sera rompono. E poi, si sa, sono brani che il nostro usa per “buttarla in caciara”, facendogli così perdere quel bel po’ di drammaticità che è nel testo.
La discesa agli inferi si compie con “Because the Night”, che non reggo proprio più assolo di Nils incluso, e con “The Rising” (che ineluttabilmente completa l’accoppiata della stramaledetta chitarra bianca, vedi sopra).
“Thunder Road”. Sempre sia lodata.
“Badlands”. Idem, anche se io la vedo meglio come brano di apertura.
I cosiddetti bis.
Oh, ma sapete che alla fine i bis sono quasi la cosa che mi è piaciuta di più? Non so perché, boh, alla fine è stata la solita trafila ma forse il fresco della sera che finalmente scendeva, forse che pure a me mi piace ballare, forse che la schiena mi era migliorata un po’, forse perché si avvicinava la fine del concerto (ma non confesserò mai che quasi non vedevo l’ora che finisse, no no no, è un concetto tabù), insomma mi sono rilassato, nonostante il gorilla davanti a me che continuava impercettibilmente ma inesorabilmente a indietreggiare spingendomi indietro.
Bello, come sempre, il finale con “This hard Land” dopo quasi 3 ore e mezza di concerto.
Mo’ voi potreste dire: “Insomma, se abbiamo ben capito a te di 35 canzoni che ha suonato 25 ti hanno rotto l’anima, ma allora che lo vai a vedere a fare?”
Calma. Non è così.
In realtà quello che mi ha smontato è stata l’idea di disomogeneità del concerto, con una scaletta senza capo né coda, buttata lì, senz’anima, in balia delle richieste e della voglia di compiacere il pubblico occasionale: e non è che non ci sia riuscito, anzi, vedevo la gente saltare e ballare, felice come non mai, quindi ha funzionato alla grande.
Ne ho visti troppi? Certo, ne ho visti troppi, tanto da rendermi conto delle volte nelle quali Bruce c’è e di quelle dove non c’è, e manda una specie di simulacro ad allietare la masse. Per me l’altra sera a Glasgow Bruce non c’era, salvo in rari momenti. E’ stato il trionfo del juke-box, tanto più scioccante per me che venivo dall’esperienza del River Tour “vero”, quello delle arene americane, una storia radicalmente diversa.
Poi continuerò a vederlo, il Boss: perché anche se questo concerto di Glasgow non rimarrà fra i miei ricordi indelebili (per usare un eufemismo) è pur vero che un altro concerto fra i peggiori di Springsteen che io ricordi è stato Londra, 30/6/2013: e 11 giorni dopo ci fu il concerto delle Capannelle a Roma, e quella volta sì che Bruce si presentò, per regalarmi una delle pagine più indimenticabili della mia pur lunga militanza springsteeniana.
Approvo !! Ogni parola di questo articolo !!
Articolo molto interessante su cui mi piacerebbe intavolare una discussione.
Mi sono sganasciato, l’accoppiata della “stramaledetta chitarra bianca” ,ahahaha
Non ero al concerto ma è vero, a volte Bruce non c’è e attiva il famoso “pilota automatico”, solo chi ha alle spalle qualche suo concerto se ne accorge ma è così. E’ vero alle Capannelle Bruce c’era…e c’era anche al Circo Massimo.