Se ti fossi trovato a camminare in un piccolo centro commerciale a West Palm Beach la sera del 19 giugno 2011, avresti potuto sentire la musica uscire dalle porte aperte di un piccolo “cigar bar”. Se tu stessi cenando sulla terrazza del ristorante italiano a fianco, è possibile che avresti potuto sentire il suono di un pianoforte, un sax e la voce di un uomo cantare con soddisfazione nel porto sul retro. Quello che non avresti potuto sapere era che il “cigar bar” non era più un “cigar bar”. in quel momento era una chiesa.
Quasi un mese prima, il 23 maggio, avevo ricevuto la seguente email da Clarence:
“Mi sono successe un po’ delle peggiori merdate negli ultimi giorni. Ho perso un po’ di sensibilità nelle dita della mano sinistra, che mi rende veramente complicato suonare. Il resto te lo racconterò quando ci vediamo”.
Ci vedemmo alla fine di quella stessa settimana quando ci incontrammo a cena in un costosissimo ristorante di Beverly Hills con sua moglie Victoria e la madre di lei. Fu l’ultima volta che gli parlai di persona.
“Si è incasinato tutto” disse. “Mi sono svegliato la scorsa settimana e la mia mano sinistra era gonfia come un pallone. Mi sono spaventato molto. Sono corso in ospedale e mi hanno dato qualche schifezza per il gonfiore ma continuo a non sentire niente con il pollice e l’indice”.
“E non riesci proprio suonare?” gli domandai. Poco tempo prima mi aveva raccontato di alcune sessioni di registrazione in sospeso e di un possibile tour. Voleva veramente andarci ancora una volta. Viveva per essere in tour.
“Purtroppo no”, disse. “Posso fingere ma non posso suonare veramente. Non so proprio cosa fare”.
Potevo sentire la sua ansia. Cosa sarebbe stato di lui senza il suo sax? I due erano un’unica cosa, come due amanti, come l’acqua e il fiume. Era difficile dire dove finissero le sue dita ingioiellate d’oro e dove iniziasse il sax. Era un matrimonio tra il respiro e l’ottone. Non essere in grado di suonare era una cosa impensabile.
“Cosa hanno detto i medici?”
“Potrebbe trattarsi di un osso rotto del polso o di problemi al tunnel carpale o qualcosa d’altro. Ho parlato con Bruce e domani mi farò visitare dal suo medico qui a Los Angeles. Mi sento molto meglio dopo avergli parlato. E’ stata la cosa migliore che mi sia capitata in questi giorni. So che Bruce mi vuole bene”.
Parlammo di un sacco di cose quella notte, compresa la finale di American Idol e del video che aveva appena girato con Lady Gaga. Gli era piaciuto molto lavorare con lei e la elogiò parecchio. Parlammo anche di un possibile viaggio in barca sulle Keys e di varie idee per un secondo libro. Voleva scrivere di musica soul, di cosa significasse per lui e del fatto che stava sparendo dal panorama musicale e dalla cultura in generale. Parlammo di politici, auto e musica nel modo più semplice che piaceva ad entrambi. Ma alla fin fine quello che contava per noi , per la nostra amicizia, era che potevamo sempre farci ridere l’un l’altro.
“Gesù” gli dissi guardando il menu, “qui hanno una bistecca che costa trecento dollari!”
“Trecento dollari?” rispose C. “Per trecento dollari possiamo comprare un cazzo di manzo intero!”.
Dopo cena andammo a bere qualcosa al bar ma era troppo rumoroso, troppo affollato e la musica era veramente pessima. Inoltre era già tardi ed entrambi avevamo appuntamenti il mattino successivo. Ci salutammo all’uscita con un abbraccio.
“Ti voglio bene” dissi. “Ti voglio bene anch’io”, rispose.
Poi aggiunse la frase che eravamo soliti dire alla fine di ogni nostra conversazione. Era un elogio al mio vecchio amico Bill Bixby, utilizzata come ammonimento per imparare ad apprezzare il presente. Clarence mi diede una pacca sulla spalla e quando sciogliemmo l’abbraccio, disse “Ordina del buon vino”.
C. tornò in Florida per far vedere la mano da altri dottori. Provò con un chiropratico, ma senza successo. In seguito una radiografia rivelò la frattura di piccolo osso del polso che poteva provocare una certa pressione sul nervo e fargli addormentare le dita. Nessuno pensò che in realtà il problema poteva essere stato causato da un piccolo ictus.
Venne operato ambulatorialmente martedì 7 giugno e tornò a Singer Island (FL) per la convalescenza.
Quella settimana provai a contattarlo varie volte al telefono e via sms ma sabato 11 giugno ricevetti il seguente messaggio:
“Hey, va tutto bene. L’operazione è andata bene, non ho più dolore ma ci vorrà un po’ di tempo per tornare alla normalità, ovunque essa sia. E’ un po’ che non tocco un sax, ma ci sto arrivando”.
Il messaggio mi arrivò alle 13:40, orario della costa ovest. Alle 13:47 gli risposi: “Bene. Dio ti benedica”.
Quella fu l’ultima conversazione che ebbi con lui..
Il pomeriggio seguente mi trovavo a casa a Los Angeles quando ricevetti un messaggio da Lani Richmond, grande amica ed ex assistente di C. Mi disse che Clarence aveva avuto un ictus e che si trovava all’ospedale. Era già stato operato una volta al cervello e stavano per eseguire una seconda operazione.
Quella mattina Victoria si era svegliata ritrovandosi da sola nel letto. Trovò Clarence sul pavimento della sala. Era cosciente ma parlava confusamente. Riusciva però a riconoscerla. Chiamò il 911 e poi andò a bussare al vicino, un medico che, purtroppo, era in vacanza. I paramedici arrivarono però immediatamente. Victoria chiamò un amico influente che contattò l’ospedale. C’erano i dottori migliori di turno quel giorno i quali fecero del loro meglio.
Sembrava impossibile che non potesse riprendersi. Si era sempre ripreso. Aveva passato così tanti problemi fisici e aveva fatto così tante operazioni che una volta lo chiamai l’uomo da sei milioni di dollari. Mi rispose “Sei milioni? Li ho superati nel 1992!”.
Ovviamente questa volta era una cosa seria e gli uomini, le donne e i figli della vita di Clarence iniziarono ad arrivare in Florida.
Inizialmente le notizie dall’ospedale sembravano buone. Muoveva la parte sinistra. Era in grado di comunicare stringendo le mani. Ma l’effetto di un ictus di quella portata continua anche dopo l’evento iniziale. Con il passare dei giorni la realtà di quello che stava per succedere era ormai nella testa di tutti ed eravamo consapevoli che una guarigione completa non sarebbe mai stata possibile. Come disse Victoria “Clarence sta lottando per la sua vita”. Potevo anche immaginare un Clarence paralizzato, vittima di un serio ictus, confinato su una sedia a rotelle, ma non riuscivo a tenere a fuoco quell’immagine. La vedevo, ma poi spariva come fumo al vento.
La quinta moglie di Clarence, Victoria Sherbakova, è nata e cresciuta in Russia. Iniziò a lavorare come hostess al ristorante Marin County California per poter restare vicina alla gemella Julia. Clarence entrò una sera nel ristorante, la ringraziò per aver portato bellezza nella sua vita e iniziò a spedirle rose ogni giorno fino a quando lei accettò di uscire con lui. Si sposarono a Sausalito lo 08/08/08 alle 8 di sera. Fu una bellissima cerimonia. Passò poi i successivi due anni e mezzo guardando C dal bordo del palco o dal dal bordo di un letto d’ospedale. Non ho mai visto Clarence così felice come durante il periodo passato con Victoria. Sembrava che finalmente avesse trovato il vero amore tanto cercato. Ma adesso, con una velocità impressionante, gli era stato strappato via.
Il venerdì successivo, mentre stavo andando all’aeroporto di Los Angeles per recarmi in Florida, suonò il telefono. Era Lani. “Sbrigati”, mi disse. Continuò poi dicendo che l’ultima TAC fatta a C indicava che non c’era più attività cerebrale. In poche parole, lo stavano tenendo in vita con le macchine. Trovai difficile da realizzare la situazione. Credevo ancora che in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Era difficile abbandonare l’ultima traccia di speranza.
Quando quella sera arrivai al St. Mary’s Hospital venni accompagnato a vedere Clarence che si trovava in una stanza alla fine del mondo. Il mio caro amico era sdraiato a letto circondato da monitor e macchinari. I suoi occhi erano chiusi e sembrava che fosse solo addormentato. Pensavo che che si sarebbe girato e avrebbe aperto gli occhi da un momento all’altro. Gli toccai la mano e lo ascoltai respirare ogni 16 secondi. Guardai il suo torace salire e scendere e poi piansi.
Durante le successive 24 ore ci riunimmo tutti quanti; famigliari e amici provavano a farsi forza a vicenda per cercare di superare quella orribile esperienza. Ho visto molti gesti di solidarietà che non dimenticherò mai. Il figlio più giovane di Clarence, Jarod, era quello che stava soffrendo maggiormente. Bruce lo accompagnò nel giardino dell’ospedale e ritornarono con tre sassi. Bruce disse a Jarod di scrivere un messaggio a Clarence su un sasso e far firmare tutti gli altri sul secondo sasso. Bruce scrisse poi un suo messaggio sul terzo sasso. “Domani” disse “andremo giù al mare. E’ un luogo curativo. Cammineremo nell’oceano e getteremo i sassi nell’acqua profonda”.
Il pomeriggio del 18 giugno, il chirurgo che operò Clarence ci preparò per quello che sarebbe successo. Fu molto gentile, educato e rapido. Odiai ogni singola parola che disse. Alle sei di sabato sera, erano ormai arrivati tutti quelli che dovevano dirgli addio e l’avevano fatto.
Clarence morì in pace poco dopo, attorniato dall’amore e dalla musica.
Dopo che se ne fu andato ci sedemmo tutti insieme nella sala d’attesa per un’ultima volta. Jake, il nipote di Clarence cantò “This Little Light of Mine” e tutti insieme cantammo“The Rivers of Babylon”. Raccontammo storie e ascoltammo la voce di Clarence dal suo ultimo memo che aveva registrato. Riuscì a farci ridere in quel momento di grande tristezza.
Alla fine lasciamo l’ospedale tutti insieme. Mentre stavamo lasciando l’ospedale per l’ultima volta, George Travis, road manager della band, disse “Guardate. Tutti stanno camminando lungo un corridoio nella notte. Proprio come dopo ogni concerto”.
Qualche ora dopo Lani, Galye Morrison e il sottoscritto bevemmo Patròn Margaritas e brindammo a Clarence, ben più di una volta. Quel giorno fu il più reale e il più surreale che chiunque di noi avesse mai vissuto ed eravamo felici che stesse finendo.
Mi svegliai la domenica mattina in un mondo senza Clarence Clemons e non era più così bello. Sembrava impossibile. Era come se qualcuno mi avesse detto che era morto il Monte Rushmore. Più tardi, sempre domenica, un piccolo gruppo di amici e famigliari si ritrovò davanti all’oceano per una cerimonia purificatrice improvvisata e spontanea. Entrammo nell’acqua salata e celebrammo lo spirito vivente di Clarence.
I sassi vennero lanciati nel mare e provammo un senso di rinnovo, solidarietà e tristezza e, ancora una volta, di speranza. Restammo in spiaggia fino al tramonto, uomini e donne uniti dall’amore per Clarence e ci consolammo a vicenda. Quel giorno trovai qualcosa.
Qualche giorno dopo ci fu la cerimonia funebre ufficiale alla Royal Poinciana Chapel a Palm Beach che fu nello stesso tempo bella e triste. Ai famigliari di Clarence Clemons si unirono i suoi amici più cari. Vennero dette parole bellissime, vennero cantate canzoni e scesero le lacrime mentre tutti dissero addio a C. Era il mio migliore amico e mi mancherà per ogni giorno della mia vita.
C’è un fatto importante da considerare quando si parla della vita di Clarence Clemons, ed è questo: Clarence Clemons non era una persona comune. Anche prima della fama era differente dalla maggior parte della gente e questa differenza aumentò con gli anni. I suoi capelli lunghi, i suoi denti luccicanti e le sue unghie pitturate non erano comuni. Era su di giri praticamente ogni giorno della sua vita adulta ed era così che funzionava. Era amato per quello che era ma anche per quello che rappresentava. Era un supereroe. Un campione che avrebbe rubato il cuore della tua ragazza. Non era una persona comune. E’ andato a letto con migliaia di donne e si è sposato un sacco di volte. Amava ubriacarsi, i sigari cubani e Gesù. Un lungo elenco di donne spettacolari si prese cura di lui per buona parte della sua vita. Singolarmente o insieme, soddisfarono ogni suo desiderio e bisogno. Lo coccolarono, lo viziarono e lo curarono ad un livello precedentemente riservato unicamente a Re e Dei.
Non era comune. Poteva indossare un vestito di lustrini, un lungo mantello, un cappello, guanti e occhiali da sole, entrare nel ristorante più raffinato del mondo senza aver prenotato e ricevere il miglior tavolo della sala. Provate voi e vediamo cosa succede. Era unico, era talentuoso, era divertente e intelligente, ma non era comune. Era a tutti gli effetti come un carnevale vivente. C’erano luci splendenti, musica ed emozioni a volontà. C’erano urla di gioia, lacrime e giochi d’azzardo. Ci furono alcune corse buie e una qualcuno veramente molto buia. Ci furono un sacco di bambini, di imbroglioni, cibo e donne poco vestite. Ci fu un assortimento di personaggi stravaganti, sfigati, tossici, ladruncoli e predicatori. Ma tutto quanto virava verso il fantastico quando il sole tramontava e Calliope iniziava a suonare. Ogni tanto restavi ben oltre il tuo normale orario serale perché la notte era piena di opportunità e avevi la sensazione che poteva succedere qualsiasi cosa. Una notte a Dublino ci procurammo un po’ whisky irlandese e passammo la notte a cantare vecchie canzoni fino al sorgere del sole. E’ stata probabilmente la migliore notte della mia vita.
Ma la sera del 19 giugno, mi trovai in quel piccolo club con il resto della famiglia allargata di Clarence. La serata fu una insolita combinazione di gioia e tristezza. Fu come se il piano bar a bordo dell’Olandese Volante fosse stato sequestrato da pirati per un improvvisato funerale musicale. Bruce si sedette al piano e cantò “Lean on me” insieme a Christina Westfall, nipote di Clarence. Il fratello di C., Bill, anche lui saxofonista, si sedette su una grande sedia di pelle e si unì durante “Spirit in the night”. Poi Bruce eseguì due brani che sarebbe meglio definire “inni”. Lui e Jake suonarono una straziante versione “Drive all night”. Quando Bruce arrivò alle parole “don’t cry now” nessuno nel locale riuscì a trattenersi. Il sax di Jake sembrava incarnare Clarence e fu allo stesso tempo bellissimo e dolorosamente triste.
Poi arrivò una toccante versione di “Lift Me Up” dedicata a Clarence. Era come una preghiera cantata in falsetto. Una performance soprannaturale, dal profondo del cuore, dolce, triste e mistica.
Clarence avrebbe amato quella serata. C’era da bere, sigari, musica, pizza, belle ragazze, parenti e cari amici. L’aria serale estiva della Florida sembra velluto. Ti fa venire voglia di metterti al volante, abbassare i finestrini, alzare il volume della radio al massimo e guidare lungo l’autostrada fino al mare. Sembrava un peccato provare tutto questo senza di lui. Ma sembrava anche un sacramento.
E quindi Big Man se n’è andato. Dovrò andare avanti senza di lui fino a quando sarà il mio turno. Ovviamente la sua musica continua ad essere con noi e sto ascoltando il suo sax mentre scrivo queste righe. Ma adesso è solo un eco. Non sentirò più la sua voce al telefono che mi racconta la barzelletta che ha appena sentito. Non ci siederemo più tranquillamente su una barca nel tramonto della Florida, a pescare e bere birra. E, parafrasando J.D. Salinger, non c’è nessuno che vorrei vedere al suo posto.
Dopo tutto quello che è stato detto e fatto, mi rimane questa osservazione finale: quando Clarence Clemons entrava in una stanza, lui la cambiava. L’aria cambiava profumo come succede prima di un temporale. Forse non riuscivi a spiegarti cosa stava succedendo ma i tuoi sensi ti dicevano che eri vicino a qualcosa di grande e potente. L’aria attorno a lui scoppiettava come se ci fossero i fulmini e le scintille volavano sopra E Street.
Autore: Don Reno
Traduzione: Francesco Magni.
(Pubblicato in lingua originale su Backstreets #91)